Alessandro Monticelli
inediti
A Bucarest ha appena smesso di piovere
E l’Air Force One svetta alto e calmo
Sulle nostre teste.
Di sera la precarietà dell’amore taglia
Come un coltello e le gocce di sangue
Impastano la bocca di amanti al telefono.
Stiamo camminando verso regni più bassi
Dove prendersi veloci come cani chiusi in un garage.
Ma a volte il corpo chiede ancora un po’di anima
Per tutti coloro che credono di non averne bisogno.
Letter from home
In questo mutuo disordine gli ultimi istanti di gloria
Permeano i tetti delle chiese, delle moschee, delle sinagoghe.
Prigioni di vetro dalle serrature di sughero
Che custodiscono anime di porcellana di una commedia autunnale.
Altrove in un tempo inedito, nascosto,di luce brulicante tra le foglie
Si agitano insospettati oppositori dello scintillio estivo
Sui sudici sanpietrini romani.
Ma resta in un respiro di pece
L’isolato rumore di passi in una fredda domenica mattina verso casa.
L’odore di legno antico che emana da una mela tagliata a metà.
Che dirti?
Come animale prima che la terra tremi…..lo sento.
Ora che vivo in quella casa a pochi passi da Alexanderplatz
E mi tengo ben stretto tutto quello che non conosco.
Stazione (interno bagni)
Lo colse l’odore acre di sperma e intenso di urina
dei bagni della stazione.
Sui muri numeri telefonici che promettono
Di esaudire ogni più intima e perversa richiesta.
Persone che si offrono come bestie da immolare
Sull’altare del sesso a pagamento.
Nella memoria ritornano i volti delle donne con cui è stato
Volti trasfigurati, pietrificati, sanguinanti.
E i loro nomi che come insegne al neon di motel malandati
Lampeggiano tristemente o s’illuminano a metà.
Si sedette ad aspettarla, lei come sempre puntualissima
Nei suoi ritardi.
La sera togliendole delicatamente le mutandine si sincerò
Del fatto che i suoi capelli biondi fossero naturali.
Intanto un nuovo giorno iniziava
Impossibile fermarlo.
A fine stagione
Cerco un luogo dove posare con calma la guancia
Avrei pensato contro le tue cosce aperte
O su di un sorriso che passa senza voltarsi.
Perdonatemi ma ho dimenticato tutto
Il suo profumo quello della sua pelle
E il suo profilo dove si specchiava il cielo.
Questo week-end è un complotto di cristallo
Che riluce su filamenti di sangue appassiti.
Le notti si increspano come il mare
Ma se le sue onde si ritraggono dalla sabbia veloci
Io rimango aggrappato ad essa
Come spuma bianca che resta orma.
Lo so, è una cosa semplice,una sciocchezza
Ma ha un suo valore e volevo dirvelo.
Perché tutto ho dimenticato
Tranne l’amore.
Il giovane studente si addormenta
Il vento caldo dalla finestra aperta
Sfoglia le pagine e continua a leggere per lui.
Nella memoria si fanno passi indietro, a lato
Dove si vuole, nella memoria non ci sono direzioni.
Ognuno percorre una strada passata
Ma che strada è se non ti riporta a casa?
La stanza della tua casa è d’oro e bianca
Chiusa alle mie intenzioni e ai desideri
Di letterature spontanee come erbacce
Tra le fessure del cemento.
Lì dentro costruisci anche tu lo stratagemma
Del cavallo di legno, per ingannare chi aprirà
La porta dopo di me.
L’arte di perdere si impara facilmente
Ed è il peso di tutto questo che si regge tra due parole.
Incapace
Sulla scala Richter dell’amore
Ho perso l’equilibrio molte volte
E rovinando sulla torba insepolta dei sentimenti
Mi sono salvato.
Ho imparato così a mettere radici in aria
Come i fulmini
A passare veloce come fascio di luce
Sulle finestre alte di palazzi in costruzione
Ad ascoltare il respiro maligno
Su di un battito d’ali.
Orfeo sciagurato che si volta senza perdere nessuno.
Ma il respiro sta nel pensiero che io dimoro in te
Senza che tu la sappia
Inquilino segreto che quando di notte
Chiudi gli occhi si addormenta nel tuo corpo.
Però, non so dimostrartelo.
Queste, sono cose così vere
Che esistono solo con le parole.
Inutile dire che ho incontrato la felicità
Almeno un paio di volte, ma non mi ha riconosciuto.
Io invece ricordo i volti appiattiti, anemici, farmaceutici
Di chi restituisce i resti di amuleti perduti, scivolati
Dalle mani sudate durante il viaggio.
Viventi precari, ospiti a tempo determinato di una vita.
Perciò ho smesso da un po’ anche di imprecare un dio
Dannato quanto me.
Reo anche lui di aver commesso un unico grande sbaglio
Aver puntato su di noi sin dall’inizio.
Quando ti bagna la pioggia di altre città
Ti senti più solo.
Così come si attraversano due secoli
Ma senza capirci molto, in fondo.
Ovunque si arrotolano banconote
Per tirare su bianche rovine di imperi
Persi sotto il sole dove si crogiolano
Lucertole con il seno rifatto.
E siccome i sogni si avverano solo quando dormi.
Arrivammo a Ninive che si era appena fatto giorno.
Se mi guardo attorno Dio sa benissimo come stare in silenzio.
Identico a quello di cui sarà piena ogni stanza ben chiusa
Dove decideremo di vendere le nostre anime.
Quel silenzio sarà il tragico sottointeso della disperazione
Perché le parole a volte non vogliono proprio dire
Ma solo trattenere il senso e niente di più.
Così sono stato la giovane mano di mio padre
Che nella tasca muove spiccioli e palline di cotone.
O il chirurgo che opera con bisturi di ghiaccio
In un giorno di metà agosto.
O il lavoratore notturno che non può
Spogliarsi per riposare.
Ma tutto questo l’ho dimenticato a memoria
Ora che è tardi e non ho più fretta.
Ora che la tua bellezza respira anche fuori dal tuo corpo
E certi vizi come i giorni
Si staccano solerti dal cuore
Inizio di una vita in levare.
Mi sposto vicino la finestra giusto in tempo per vedere
Nella stanza la ragazza piangere nei suoi lunghi capelli neri
Macchie di caffè sul foglio bianco sopra la mia scrivania
E il clacson di una macchina che si incunea con precisione
Tra le note di Insensatez.
Poi in bagno spremi fino in fondo
Il tubetto del dentifricio.
Perché la vita costa in tutti i sensi.
Memento vivere
Sprimaccio il cuscino
E mugghiando a intermittenza
Pilucco pensieri e parole.
Le ultime degne di nota sono state:
“Non sei che un chiodo entrato storto
Nel legno della mia vita”.
Escono dalla scena con grande magia le donne
È la loro arte la loro prestidigitazione
Al confronto i nostri numeri sono niente
Neve sfiorita ai margini del marciapiede.
Amare e potermi dire amato questo ho voluto
Chissà se ci sono riuscito.
Un’alba misera spunta su tutto
Comprese puntute signore in delirio
Per le note di questa piccola sinfonia
Di un re minore.
Io nel frattempo mi alzo e pronuncio un nome
Come fosse possibile preferire una rosa
A un’altra rosa.
Ti scrivo da un hotel a due stelle
In una antica città del sud
Molto lontano da casa.
Il viaggio è stato lungo, passaggi interminabili
Tra vigneti e immensi prati verdi
Squarciando all’improvviso viali di paesi sonnolenti
Con rare figure di giovani stanchi e vecchi con occhiali da sole
Appoggiati a fioriere a borbottare, aspettando la cena o di morire.
Ti scrivo da un hotel a due stelle in un tempo scorsoio
Avvertito dalla carne
Nell’ora viscosa dell’orologio
Nella pioggia estiva che porta la sabbia dell’Africa vicina.
Ti scrivo da un hotel a due stelle
Fuori dalla finestra luci smunte e sparse.
Ti scrivo di sera da un hotel a due stelle
Le ultime due che sono rimaste.
Sul sagrato delle promesse mai mantenute
Le parole sono a terra come chiodi arrugginiti
E a usarle sanguina la bocca.
L’unica cosa che il dolore un po’ lenisce
E che quello che non sai non ti ferisce.
Alessandro Monticelli (1973) nato a Sulmona (AQ) ha pubblicato le raccolte poetiche: Medicine Scadute, Mauro Baroni Editore, Viareggio 2004; Made in Italy, Edizioni Progetto Cultura, Roma 2004; Favole da un Manicomio, Il Foglio Editore, Piombino, 2006, 2° edizione 2007; Concerto di un re minore” (e-book) La scuola di Pitagora editrice, 2011; La pelle fragile” (e-book), Fontana Editore, 2014. Suoi testi sono pubblicati su diverse antologie e riviste letterarie nazionali e internazionali, tra cui “Ellin Selae”, “Prospektiva”, “Il Segnale”, “Tratti”, “Il Monte Analogo”, “Inverso”, “Gradiva”, ecc. Ha partecipato a numerosi reading e festival di poesia. Dal 1999 inizia la sua poliedrica attività artistica, esponendo nel duo Monticelli&Pagone nelle maggiori città europee in gallerie e musei.