È bello ciò che non piace

È bello ciò che non piace
È bello ciò che piace è una delle più solenni minchiate dietro cui si trincera l’umano nella sua allegra corsa al degrado, al checcarino, al like, all’emoticon, al cuoricino. Al sentimentalismo accattato rumando tra i soliti stracci al mercatino della pietà pulciosa.
Ma non si allarmino i fautori del ciccione è un’opinione, del rammollito è un tipo, della volgarità è un’opzione, medietà è rivoluzione. Qui non si parla di misure, ma di distanze siderali. Si parla del sublime.
A uno semmai può piacere il kinder maxi, o la viennetta. Siamo comunque nell’area del sublime, ma non è di gusto estetico che si parla.
È bella una ragazza divina e sono belle le mani di un vecchio. Sono belli i cerchi della corteccia di un tronco d’albero abbattuto da un fulmine in un sudario d’asfalto e sono belli i rami nodosi di un albero enorme che si scava la sua strada verso il cielo nell’assedio di cemento. È bello un raggio di sole che entra dalla finestra del cesso di un treno fermo a Mestre ed è bello l’incendio del tramonto sui tetti oltre la nebbia e il fumo delle auto nell’anonima Rovigo.
Non è bello quel che piace. Per niente.
È bello ciò che spacca. E basta.
È bello tutto ciò che lotta conto il figo, il mitico, il troppoforte, il bellino e il checcarino. Contro la figata e la genialata.
È bello tutto quello che non è banale, che non chiama il riflesso condizionato del pollicione.
È bello ciò che non piace.