Maria Rosalía Rita de Castro

Maria Rosalía Rita de Castro nacque a Camino Novo, un sobborgo di Santiago di Compostela, capoluogo della comunità autonoma della Galizia, Spagna, nella notte del 24 febbraio del 1837 e fu registrata all’Hospital Real di Santiago di Compostela come figlia di ignoti, anche se in realtà fu il frutto della relazione scandalosa tra il sacerdote don José Martínez Viojo e María Teresa de la Cruz de Castro y Abadía, una giovane di nobile famiglia galiziana che non si era mai sposata. Inizialmente la famiglia della madre rifiutò di prendersi cura della bambina e il padre, che non poteva riconoscere la figlia per la sua condizione ecclesiastica, la affidò alle cure delle due sorelle: donna Teresa e donna Josefa Martinez, nella località di Ortoño, presso la casa di famiglia chiamata “Casa do Castro”. Qui, Rosalía ricevette la sua prima istruzione, frequentando la “Sociedad Económica de Amigos del País”, sostanzialmente incentrata sulle lezioni di Disegno e di Musica; fu la sua nutrice che le insegnò la lingua galiziana, che più tardi la poetessa utilizzerà per scrivere buona parte della sua produzione poetica.
Nel 1852, quando le dicerie dello scandalo si erano ormai placate, Rosalía andò a vivere con la madre trasferendosi nella località di Padrón nella città di La Coruña. La sua adolescenza fu assai difficile e dolorosa, caratterizzata da una profonda crisi esistenziale dovuta al dispiacere e alla vergogna di essere considerata una figlia illegittima a cui si deve aggiungere la sofferenza dovuta alla sua salute cagionevole, provocandole continui acciacchi fisici e crolli psicologici. Nel 1855 si trasferì a Madrid nella casa di un’altra zia paterna: Carmen Lugín de Castro, madre dello scrittore Pérez Lugín, dove conobbe il poeta Gustavo Adolfo Bécquer (1836-1870), entrando in contatto con il suo circolo letterario. Nello stesso anno scrisse anche la sua prima raccolta poetica: La Flor, che ricevette un’ottima accoglienza di critica, soprattutto da parte di Manuel Martínez Murguía, futuro membro dell’Accademia Reale Galiziana, esponente distaccato di quella corrente letteraria che va sotto il nome di Restaurazione galiziana, nonché critico letterario, giornalista ed editore, il quale scrisse un’eccellente recensione di La Flor, sul periodico “La Iberia”. Rosalía sposerà Manuel Martínez Murguía qualche tempo dopo nella chiesa di San Ildefonso, esattamente il 10 ottobre del 1858. Dal matrimonio la coppia ebbe sette figli dei quali il penultimo, Adriano, morì dopo appena un anno, in seguito a una tragica caduta a terra di una mensa da cucina che schiacciò il bambino (la cui morte aggravò ancor di più le fragili condizione psichiche della poetessa). Valentina, l’ultima figlia, nacque invece già morta. Nessuno degli altri figli ebbe a loro volta dei figli e la discendenza della poetessa si interruppe nel 1967 quando morì anche Gala, l’ultima figlia rimasta in vita. Nel 1871, una decina d’anni dopo la morte della madre, con la quale nonostante tutto aveva stretto un intenso e duraturo rapporto d’amore, la poetessa si trasferì a La Coruña, dove il marito aveva ottenuto un impiego presso l’Archivo della Galizia e successivamente a Santiago quando il marito era stato chiamato a dirigere la biblioteca dell’università. In questi anni scrisse le sue opere più importanti, come la raccolta: Cantares gallegos, la sua prima opera in lingua galiziana, considerata fino a quel momento come un semplice dialetto regionale che si colloca nel periodo della cosiddetta Rivoluzione del 1868, caratterizzato da un grande fermento di idee federaliste e democratiche, e da grandi scontri sociali che portarono all’esilio della regina Isabella II di Spagna e all’inizio del periodo denominato “Sessennio democratico”. Rosalía e il marito formavano parte di questa volontà popolare di cambiamento culturale e politico, sognando un socialismo utopico, una piena libertà di religione e di espressione, l’autonomia della Galizia, il riconoscimento della lingua galiziana e il suffragio universale. Nelle sue poesie Rosalía de Castro denunciava la condizione della donna relegata alle sole mansioni domestiche e ad allevare i figli, profondamente discriminata dalla società dell’epoca, tanto da farle guadagnare la fama di essere stata la precursora del femminismo spagnolo. Negli anni successivi saranno pubblicate altre due raccolte poetiche: Follas Novas (1880) e En las orillas del Sar (1884), considerata l’opera di maggiore importante, in cui sposta l’attenzione verso una dimensione più profonda e intimistica, caratterizzata da una visione oscura del mondo e da tematiche tipiche del romanticismo galiziano, ma anche della tradizione celtica, quali: il senso della religiosità, il mondo delle ombre, il sentimento della tristezza, l’iniquità del destino. Oltre alla produzione poetica, un certo rilievo assume anche la produzione in prosa, di cui si ricordano le novelle: La hija del mar (1859), Flavio (1861), Ruinas (1866), El caballero de las botas azules (1867), El primer loco (1881). Nel 1883 si trasferì a Padrón dove morì due anni più tardi, all’età di 48 anni, vittima di un cancro all’utero, il 15 luglio del 1885. Fu seppellita nel cimitero di Adina nei pressi di Padrón. Sei anni dopo, riconosciuta la poetessa più illustre della sua epoca, insieme a Gustavo Adolfo Bécquer, i suoi resti furono traslati al convento di “San Domingo de Bonaval”, a Santiago di Compostela, dove si trovano tutt’oggi. La sua immagine è apparsa per un periodo di tempo sulla banconota spagnola da 500 pesetas.
Dicen que no hablan las plantas
Dicen que no hablan las plantas, ni las fuentes, ni los pájaros,
ni el onda con sus rumores, ni con su brillo los astros,
lo dicen, pero no es cierto, pues siempre cuando yo paso,
de mí murmuran y exclaman:
«Ahí va la loca soñando
con la eterna primavera de la vida y de los campos,
y ya bien pronto, bien pronto, tendrá los cabellos canos,
y ve temblando, aterida, que cubre la escarcha el prado».
Hay canas en mi cabeza, hay en los prados escarcha,
mas yo prosigo soñando, pobre, incurable sonámbula,
con la eterna primavera de la vida que se apaga
y la perenne frescura de los campos y las almas,
aunque los unos se agostan y aunque las otras se abrasan.
Astros y fuentes y flores, no murmuréis de mis sueños,
sin ellos, ¿cómo admiraros ni cómo vivir sin ellos?
Dicono che le piante non parlino
Dicono che le piante non parlino, né le fonti, né gli uccelli,
né l’onda coi suoi rumori, né gli astri col loro fulgore,
dicono, ma non è certo, perché quando passo,
di me parlano sempre ed esclamano:
«Lì va la pazza sognando
l’eterna primavera della vita e dei campi,
e presto, ben presto, avrà bianchi capelli,
e vede, tremando, atterrita che il prato è coperto di brina».
Ho bianchi capelli sul capo e c’è brina sul prato,
ma continuo a sognare, misera, incurabile sonnambula,
l’eterna primavera della vita che si spegne
e la perenne freschezza dei campi e delle anime,
benché alcune inaridiscano e altre s’incendino.
Astri e acque e fiori, non mormorate dei miei sogni,
come ammirarvi e come vivere senza di loro?
Hora tras hora, día tras día,
Hora tras hora, día tras día,
entre el cielo y la tierra que quedan
eternos vigías,
como torrente que se despeña
pasa la vida.
Devolvedle a la flor su perfume
después de marchita;
de las ondas que besan la playa
y que una tras otra besándola expiran
recoged los rumores, las quejas,
y en planchas de bronce grabad su armonía.
Tiempos que fueron, llantos y risas,
negros tormentos, dulces mentiras,
¡Ay! ¿en dónde su rastro dejaron,
en dónde, alma mía?
Ora dopo ora, giorno dopo giorno
Ora dopo ora, giorno dopo giorno,
tra il cielo e la terra che restano
eterne vedette,
come torrente che s’abbandona
passa la vita.
Restituite al fiore il suo profumo
dopo la marcita;
delle onde che baciano la spiaggia
e che una dietro l’altra baciandola spirano,
raccogliete i rumori, i lamenti,
e su placche di bronzo incidete la loro armonia.
Tempi che furono, pianti e risate,
neri tormenti, dolci bugie,
O, dove lasciarono il segno,
e dove l’anima mia?
Muda la luna y como siempre pálida
Muda la luna y como siempre pálida,
mientras recorre la azulada esfera
seguida de su séquito
de nubes y de estrellas,
rencorosa despierta en mi memoria
yo no sé qué fantasmas y quimeras.
Y con sus dulces misteriosos rayos
derrama en mis entrañas tanta hiel,
que pienso con placer que ella, la eterna,
ha de pasar también.
Muta la luna e come sempre pallida
Muta la luna e come sempre pallida
mentre percorre la celeste sfera
seguita dalla sua scia di nuvole e stelle,
rancorosa, mi ridesta nella memoria,
non so come, fantasmi e chimere.
E coi suoi dolci raggi misteriosi
mi sparge sulla finestra tanto fiele
che penso con sollievo che lei, pur eterna,
dovrà comunque passare.
Adivínase el dulce y perfumado
Adivínase el dulce y perfumado
calor primaveral;
los gérmenes se agitan en la tierra
con inquietud en su amoroso afán,
y cruzan por los aires, silenciosos,
átomos que se besan al pasar.
Hierve la sangre juvenil, se exalta
lleno de aliento el corazón, y audaz
el loco pensamiento sueña y cree
que el hombre es, cual los dioses, inmortal.
No importa que los sueños sean mentira,
ya que al cabo es verdad
que es venturoso el que soñando muere,
infeliz el que vive sin soñar.
¡Pero qué aprisa en este mundo triste
todas las cosas van!
¡Que las domina el vértigo creyérase!
La que ayer fue capullo, es rosa ya,
y pronto agostará rosas y plantas
el calor estival.
S’indovina il dolce e profumato
S’indovina il dolce e profumato
caldo della primavera;
i germi s’agitano dentro la terra
inquieti nel loro amoroso affanno,
e attraversano l’aria silenziosa
atomi che si baciano passando.
Ribolle il sangue giovanile, s’esalta
pieno respiro il cuore, e intrepido
il pensiero folle sogna e crede
che l’uomo, come gli dei, sia immortale.
Non conta che i sogni siano menzogna,
perché alla fine è vero
che fortunato è chi sognando muore
e misero chi senza sogni vive.
Però rapide in questo mondo triste
tutte le cose vanno!
E solo le domina il vortice che le crea!
Quello che fu ieri bocciolo, è già rosa,
e rose e piante li brucerà in fretta
il caldo dell’estate.
Brillaban en la altura cual moribundas chispas
Brillaban en la altura cual moribundas chispas,
las pálidas estrellas,
y abajo …muy abajo, en la callada selva,
sentíanse en las hojas próximas a secarse,
y en las marchitas hierbas,
algo como estallidos de arterias que se rompen
y huesos que se quiebran.
¡Qué cosas tan extrañas finge una mente enferma!
Tan honda era la noche,
la oscuridad tan densa,
que ciega la pupila
si se fijaba en ella,
creía ver brillando entre la espesa sombra
como en la inmensa altura las pálidas estrellas.
¡Qué cosas tan extrañas se ven en las tinieblas!
En su ilusión, creyóse por el vacío envuelto,
y en él queriendo hundirse
y girar con los astros por el celeste piélago,
fue a estrellarse en las rocas, que la noche ocultaba
bajo su manto espeso.
Brillavano nell’altezza come moribonde scintille
Brillavano in alto come moribonde scintille,
le pallide stelle,
e sotto …molto sotto, nella silenziosa boscaglia,
si sentivano nelle foglie prossime a seccarsi,
e nell’erba avvizzita,
una sorta di esplosioni d’arterie che si rompono
e ossa che si spezzano.
Che strane cose finge una mente febbrile!
Tanto profonda era la notte,
tanto densa l’oscurità,
che cieca la pupilla
se in essa si fissava,
credeva di veder brillare dentro l’ombra densa,
le pallide stelle come nell’immensa altezza.
Che strane cose si vedono nelle tenebre!
Nella sua illusione, si credette dal vuoto avviluppato,
ed in esso volendo sprofondare
e girare con gli astri nell’oceano celeste,
andò a schiantarsi tra le rocce, che la notte occultava
sotto il suo fitto mantello.
Cuando recuerdo del ancho bosque
Cuando recuerdo del ancho bosque
el mar dorado
de hojas marchitas que en el otoño
agita el viento con soplo blando,
tan honda angustia nubla mi alma,
turba mi pecho,
que me pregunto:
«¿Por qué tan terca,
tan fiel memoria me ha dado el cielo?»
Quando ricordo il mare dorato
Quando ricordo il mare dorato
del grande bosco
di foglie appassite che in autunno
agita il vento con soffici folate,
è così profonda l’angoscia che mi offusca
l’anima, e il petto mi sconvolge,
da farmi domandare:
«Perché tanto ostinata,
tanto fedele memoria il cielo mi ha donato?»
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