Roberto Pazzi, Felicità di perdersi
L’opera di Roberto Pazzi si esprime a tratti in prosa e a tratti in poesia. Nel corso degli anni la scrittura in prosa ha asciugato la sua poiesi, rendendola più simbolista, più allegorica; parallelamente all’influsso che ebbe la psicanalisi sulle rime di Umberto Saba. La sua è da sempre una lirica che sboccia dalla «vita vera», da un nocciolo di purezza incorruttibile; una fioritura lenta e tenace, nel credere nel terreno dove ha messo radici interiori, Ferrara. Quasi fosse una pianta del deserto, una bella di notte, che nel buio fa luce e dal buio trae la sua luce.
Dalla postfazione di Matteo Bianchi
Verso il Nulla
Bello voler solo esistere,
famiglia, moglie e figlio di me stesso,
signore del mio tempo in rotta,
ma ancora in quota alla terra.
Al computer la mano disimpara a scrivere,
il suo è un ascetico esercizio,
e non scrive più lettere d’amore,
brucia quel che rimane della voglia,
risparmiando penne, guanti, vestiti,
le scarpe per le camminate
che aspettano in riva al mare,
i vecchi costumi da bagno basteranno,
come i viaggi, gli inverni, ormai tutti visibili,
perché vedo oltre, più in là,
centellinando l’anima per non sprecarla,
e lasciare la casa e la città vuote,
prima di partire
e restituire le chiavi del mistero.
Poi non so dove abiterò,
ma se ritornerò,
nessuno mi riconoscerà
nemmeno questa volta.
Se il treno ritarda
Il treno delle quindici e cinquantasei
partirà in ritardo, di venti minuti,
qualcuno stasera in una stazione
sotto i colli Euganei,
bestemmierà l’attesa,
qualcun altro invece, grazie al ritardo,
da una stazione prima del Po,
riuscirà a prenderlo, quel treno,
e salirà trafelato e contento.
Per molti amati prima dei trent’anni
sono già defunto,
non li rivedrò mai più.
Per molti che mi vedranno fragile
vecchio non sono ancora nato,
devo ancora spuntare all’orizzonte.
Per altri, e sono i più,
non c’è nessuna linea,
nessuno orario da consultare.
Quel non essere per loro
è già tutta la mia eternità.
Al Po
Solo la paura della fine
riunisce i miei concittadini,
ne fiutano la minaccia
quando il fiume sale.
All’improvviso si cercano,
si parlano senza conoscersi
e la domanda è sempre la stessa:
“Com’è il Po?”
Tutti vecchi amici
preoccupati della sorte
di uno di loro,
riassaporano così la verità
del loro nulla.
Il piacere di azzerare
età, titoli e potere,
e riscoprirsi compagni di scuola,
cresce fra le mura della città
fra i visi amabili
di chi solo ieri ti soppesava
fra queste mura.
Sale il livello delle acque,
scende la superbia.
Ora il nulla è dolce,
dona la tregua
alla fatica di portare
la maschera che ti finga
desiderabile ma da lontano,
lassù nelle prime file,
fra i posti riservati,
La comunanza del niente
guarisce da questa malattia.
Vieni pure a minacciarci,
caro fratello, mio grande fiume,
fammi sognare di un largo abbraccio
che tutti ci unisca per sempre,
ma amaci più di quanto
sappiamo noi,
mostra soltanto l’ombra
del tuo potere,
non farci male.
Risveglio sul Bosforo a Istanbul
La luce era appena nata,
le carezze del vento venivano
da un folto di anni
ancora tutto da esplorare,
ero disteso al vento,
bianca memoria,
paese diverso, paese senza,
senza non saprei dire di che,
dimentico della favola il finale
nella traversata sulla nave,
guardando dagli oblò la città,
le cupole d’oro,
i minareti, le torri di guardia,
sfilando nelle acque dello stretto
braccio di mare,
a poco a poco azzurro e nero,
mare color del vino, oinopontos,
oh felicità della notte,
che non sa le cose
e di chi impara da lei a perdersi
dove tutto era segnaletica precisa,
e abbandona i bottoni
della sua camicia
alla mano che non ricorda
come si chiudano,
e perché vestirsi,
del nome, degli anni, dell’ora,
arreso allo stilita nascosto
che ripudia ogni mattina,
in fuga dalla giornata
che lo prenderà e gli sporcherà
camicia, innocenza, amnesia,
felicità di perdersi,
amore del Nulla che trema
alla soglia dell’alba.
Vuoto d’amore
Guardavo poco fa la mia firma
di quindici anni più antica,
quel pallido segno sono io
di là da molte stagioni,
estati, autunni, inverni e primavere
con dentro folle di volti e,
tutto intero,
nell’arco di quegli anni,
da me ora, a me allora, tu,
fuori dalla mia vita.
Questa fuga del tempo
che dà e si riprende è il mistero
degli anni vissuti insieme
compresi nel nulla prima
nel vuoto poi,
una contabilità sempre in perdita.
Ogni scomparsa nutre una rinascita,
solo così si può amare ancora,
ma l’emorragia di questo vuoto
pieno di anni educa al nulla
se l’eternità si converte
nel foglio bianco e matura
non scrivendo più il proprio nome.
ROBERTO PAZZI, laureatosi in lettere classiche a Bologna, relatore L. Anceschi, con una tesi su Saba, poeta e narratore tradotto in ventisei lingue, ha alternato l’attività di docente nella scuola e nell’università, a Ferrara e a Urbino, a quella di conferenziere nei paesi del mondo in cui è diffusa la sua opera. Vive a Ferrara dove tiene corsi di scrittura creativa. Già penna del Corriere della sera, collabora a QN e a The New York Times. La pluripremiata produzione – due volte Premio Selezione Campiello, due volte finalista Strega e Viareggio, super premi Grinzane Cavour e Flaiano e i premi Montale, Scanno, Comisso, Procida Elsa Morante, Bergamo e altri ancora – comprende sette raccolte di versi e diciotto romanzi. Alle prime appartengono L’esperienza anteriore (I Dispari, 1973), Versi occidentali (Rebellato, 1976), Il re, le parole (Lacaita, 1980), Calma di vento (Garzanti, 1987), Il filo delle bugie (Corbo, 1994), La gravità dei corpi (Palomar, 1997) e Talismani (Marietti, 2003). Fra i romanzi, Cercando l’Imperatore (Marietti, 1985), La principessa e il drago (Garzanti, 1986), Vangelo di Giuda (Garzanti, 1989), La stanza sull’acqua (Garzanti, 1991), Le città del dottor Malaguti (Garzanti, 1993), Incerti di viaggio (Longanesi, 1996), La città volante (Baldini e Castoldi, 1999), Conclave (Frassinelli, 2001), L’erede (Frassinelli, 2002), Il signore degli occhi (Frassinelli, 2004), L’ombra del padre (Frassinelli, 2005), Mi spiacerà morire per non vederti più (Corbo, 2010) e D’amore non esistono peccati (Barbera, 2012). L’editore Bompiani sta ristampando nei grandi tascabili la sua opera narrativa. Il suo esordio poetico è avvenuto con una silloge di versi apparsa sulla rivista “Arte e Poesia” nel 1970, corredata da una nota di Vittorio Sereni. La sua poesia compare sull’Almanacco dello Specchio (Mondadori, 1981), su “Nuovi Argomenti” (n.51-52, 1976) e in diverse altre riviste e antologie italiane e straniere.