Cristina Bove, Ogni risveglio ha la sua nebbia (inediti)

Tempi supplementari
Costante
che torna e sembra regolare
una quinta stagione di riciclo
corpi dispersi nell’impermanenza
un che di bianco senza calendari
è una stagione d’innocenza nuova
perdona colpe e perdonare
estingue sfide
lascia pochi pensieri pendolari
come barche di carta
in labirinti senza via d’uscita
e mio malgrado
amerò il mondo che non so e non vedo
lo stare e il trapassare
amerò il punto e la diramazione
e tutti noi che siamo
la necessaria contrapposizione
inizio e fine
in questa immensità che ci contiene
Nel fondaco di via S.Gregorio Armeno
Sotto le case di ringhiera
la porta nera della casastalla
nera come i cavalli col pennacchio
e nero il cocchio
versione funeraria della zucca
lanterne affumicate e croci d’oro
il tiro a quattro per i morti ricchi
nell’ombra una scaletta
portava all’ammezzato
_ci dormivano figli e genitori_
unica presa d’aria
una finestra cupa, a mezzaluna
ricavata nell’arco del frontone
da cui mi salutava Concettina
l’amichetta con cui si andava a scuola
scene da un mondo refrattario al sole
e chi lo visse non esiste più
ora è un mercato acceso di vetrine
insegne e bancarelle variegate
ma sul balcone al terzo piano
c’è una donna tra i fili che si sporge
e d’improvviso è l’ombra di mia nonna
che mi saluta mentre stende i panni
Apolide
Discettano
gli addetti competenti
peregrinando nella scia dei versi
metricando passaggi ai visigoti
barbara e intrusa sono
vesto di peste e corna
messaggerie per non attenti
non conosco la vetta dei versanti
né le commedie dell’olimpo
_numi da asporto_
cover, mi raccomando
seria e classicheggiante:
è il passaporto per le terre emerse.
Ahimé! senza nessuna credenziale
viaggio in incognita
_ho la cittadinanza di una stanza_
Disconnessione
dalla vera natura delle cose
serpente a mille spire è l’arte
rifugio per nascondersi al dolore
mai dire pane al pane
guarnirsi come dolci con la crema
all’Antoinette: poèmes ai denutriti
e quando anch’io sarò così affamata
di fratellanza e verità
farò tacere tutti gli artifici
affronterò chi sono e chi non sono
nella comune assenza
L’arte di arrancare
Un po’ si avanza
un po’ si retrocede
si va presupponendo che la strada
conduca a premi vari e cotillons
(danse macabre)
ci fa paura questa ressa
c’eravamo una volta e adesso fragili
non possiamo adeguarci alle vittorie
per piccole che siano
ma un’attrattiva che resiste ancora
ci fa sostare ai margini
incombere di nuvole di passo
migranti verso cieli più sereni
ci prende una malinconia di tempo lieve
mentre si corre in piazza
un palio senza premi
fermiamoci abbracciati
mentre la via ci corre sotto i piedi
seppure un po’ sfioriti
e sul tapis roulant
alberi nudi
fanno da pali ai ladri di bellezza
sembra così lontana la parola
così priva di senso
per chi non trova appigli
_si sta che tutto ruota intorno_
dire nel giro che inginocchia il cuore
anima taciturna nel ciclone
il centro è un falso punto di salvezza
nel riportare cose che si sanno
che si vorrebbero distanti
quando maligna il tempo
ed incessante
l’onda ripete il mare, il mare accoglie
e ci si trova a viversi clessidre
in discorsi di sabbia
Ogni risveglio ha la sua nebbia
Dimenticare il sogno
fino a sentirsi poco, quasi niente
e stare in forse
_le coordinate sono linee mosse_
le vedete anche voi
quelle pazienti foglie di ciliegio
farsi autunno
presagire la neve
acqua che stinge la dimenticanza
le mie mani
non conoscono il senso della storia
scrivono ricorrenze per non tradire gli orologi
fanno guinzagli ai numeri
stamattina intrecciavano capelli
reti per guizzisogni
_c’era bassa foschia sul comodino_
ma quando accesi il gas per il caffè
ero già andata via
Qui dove il tempo è solo una cornice
siamo il ritratto sotto velatura
che va sparendo dalla tela
l’esilio dei colori a trama rada
una passata d’acqua
_l’amoramaro che sbiadisce gli occhi _
dipingemmo di sogni autoestinguenti
una città di idranti
inutili se già ci piove il cielo
in terra d’ombra
e il fuoco estinto delle cose andate
ha il blu dei mari dopo la tempesta
disse il pittore:
ti faccio una figura in filigrana
_una murrina tinta di cobalto_
e che ne fai del peso?
che ne fai della forma incanutita?
Sappiamo quanto costa farsi sera
quanto si scolorisce e quanto dura
un cerchio tratteggiato intorno al vuoto
Ai distruttori di biblioteche con la memoria corta
bruciare libri
per rendere giustizia agli ignoranti
dai roghi di Alessandria ai giorni nostri
Ipazia è tutti noi
nell’arroganza che dilaga
le masse hanno perduto la coscienza
_congiura cirilliana e i suoi sicari_
il fascio abbraccia chiese ed accademie
la folla acclama le corbellerie
di governanti dal cervello vuoto
le menti che rivelano il re nudo
vengono lapidate dai villani
però non basteranno sangue e pietre
a tacitare una parola scritta
ch’è più temuta di una guerra aperta
chi vive al buio
non vuole che si sappia della luce
e oscura il mondo
A ciascuno le lische di battaglia
il mago ha due bacchette per il riso
mago cinese
cucina il pescepalla
_fu comprato al mercato delle spine_
in fondo al pozzo dei nondesideri
il mago sa che per morire
si deve essere vivi (mago lapalissiano)
e dopo pranzo
arrotola se stesso e la tovaglia
_i pesci stanno zitti_
se avessero da dire in lingua oceanica
farebbero le bolle nella pentola
ma chi saprebbe leggerle? Il cuoco no
che pure essendo magico
non sa tradurre il senso delle squame
_l’ittica ha le sue regole d’etimo e di logica_
una magia nell’acqua scritta a pinna
inchiostratori calamari e seppie
ossi da farne versi
per qualche pescatore di poesie
Vado a comprare le sigarette
disse
lasciandosi da sola sulla porta
esco e ritorno subito
però
abbandonò le cose trattenute
le misure superflue
i versi obesi
e se ne andò giuliva
oca presunta in volo, ma
toccare il suolo col didietro
è conseguenza logica
quando non è possibile toccare
il cielo con un dito
all’angolo
di via San Biagio dei Librai
con San Gregorio Armeno
c’è ancora una tabaccheria
quella dei suoi fantasmi
e dei presepi
dove sua nonna rivendeva sale
quaderni e caramelle
e suo padre fumava le Camèl
Señor gato
tarantolato sotto le vibrisse
miagola al cane di Mirò
_sali che ti racconto i gatti miei_
l’altro fa scena muta
immoto tra colori e ceralacca
vertigine da pioli
nel blu di metilene
il micio accende gli occhi
sul tetto spolverato dalla luna
gli abbaini
controfigure a guglie
passaggi secondari per pittori
ombre di scale
Cristina Bove è nata a Napoli il 16 settembre 1942, vive a Roma dal ’63.
Si è occupata di pittura e scultura. Ha vissuto da giovane a Tunisi dove fu allestita con successo la sua prima personale di pittura. È sua la scultura in bronzo dell’hotel Sabbiadoro a S. Benedetto del Tronto. Negli ultimi tempi si dedica alla scrittura, alla fotografia e all’arte digitale.
Ha pubblicato Una per mille (romanzo – 2016 edizioni Fusibilia).
Per le edizioni Il Foglio Letterario: Fiori e fulmini (2007), Il respiro della luna (2008), Attraversamenti verticali (2009).
Mi hanno detto di Ofelia (2012 – Edizioni Smasher), Metà del silenzio (eBook 2014 – Edizioni PiBuk). Antologia di Poetarum Silva (a cura di Enzo Campi), Auroralia (a cura di Gaja Cenciarelli), La ricognizione del dolore (a cura di Pietro Pancamo), La versione di Giuseppe (2011 – AA.VV. a cura di Abele Longo – Ed. Accademia di Terre d’Otranto), Cronache da Rapa Nui (2013 – AA.VV. a cura di Gianmario Lucini – Edizionicfr.it/Libri ), Sotto il cielo di Lampedusa. Annegati da respingimento (2014 – AAVV. a cura di Pina Piccolo Edizioni Rayuela), La simmetria del vuoto (2018 – Arcipelago Itaca Edizioni).
Alcuni dei siti in cui è presente: La poesia e lo spirito La dimora del tempo sospeso Neobar blancdetanuque Filosofi per caso Rai News – Luigia Sorrentino Versante Ripido La Recherche muttercourage – Anna Maria Curci Carteggi letterari
Il suo blog personale https://cristinabove.net/
Conduce il blog http://giardinodeipoeti.wordpress.com/
È nella redazione di http://viadellebelledonne.wordpress.com/
2 comments
grazie!
Grazie a te per i tuoi bellissimi testi Cristina!