Ilaria Grasso, Micropoema dell’androide

Non ho paura se provi le mie stesse emozioni.
Vorrei provarle ancora io.
E sapere se tra tutto quel silicio o quel coltan
ci siano ricordi o che ne so persino amori.
Vorrei sapere se nel tuo codice binario
ci sia spazio
per l’eccezione che conferma la regola
o se in mare aperto d’un tratto
tu t’arrugginissi
e lasciassi annegare me e altri come me
perché i porti sono chiusi
o per la mancanza di litio al tuo interno.
Chissà il crash dello sgomento quando in casa entro
e tu domotico animale
mi accendi le luci e io le spengo
perché il grigio della materia è fermo da troppo tempo
e ora ho solo voglia di pensare.
O se per caso mi preparassi il timballo della nonna
e io lo buttassi
e mi ordinassi una pizza
per il mancato diametro della mozzarella
o delle polpette
e il tuo fido amico microonde
non ha abbrustolito la pasta in superficie.
Dovrei guardarti con tenerezza. Dovrei.
Sei pur sempre un figlio e io non so chi sia il tuo vero padre.
I tuoi occhi di vetro non si muovono
e una parte di me sogna tu sia morto.
Ah che madre degenere che sono!
e pensare che a te mi ero persino affezionata
MA
alle mie curve di donna
hanno sostituito quelle del prodotto
e io poi alla fine rimango sempre sola
In ufficio, in attesa dell’ultima versione del processore.
In casa, aspettando l’ultimo modello di vibratore.
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