Jannis Dallas
La prima generazione postbellica del ’60 in Grecia, ovvero il gruppo di poeti nato tra il 1916 e il 1928 comprende certamente, dopo i famosi autori della generazione del ‘30(Seferis, Ritsos, Elitis, Embirikos, Vrettakos, Engonòpulos) una pleiade di poeti che, altrettanto noti, hanno lasciato tracce indelebili nel percorso della contemporanea letteratura ellenica: Anagnostakis, Livaditis, Sinòpulos, Karusos, Patrìkios, Sachturis, Valaoritis, Alexandru).
Nel novero di questi poeti entra di buon diritto e agisce Jannis Dallas, con una particolarità però davvero notevole, impossibile da passar sotto silenzio: egli è l’autore più poliedrico fra tutti i colleghi della generazione e quello i cui interessi letterari svariano in campi di ampi orizzonti in tutti eccellendo nelle trame di una profonda, differenziata sapienza. Così, Dallas oltre che poeta è prosatore, saggista, critico, filologo, studioso e traduttore di poesia greca antica.
In tutta questa abbondanza creativa la poesia occupa il posto d’onore, una poesia che nella longevità produttiva ha avuto ed ha modo di evidenziare esemplari meditazioni e attraversare con immutata valentia ideativa essenziali poetiche del pensiero europeo, scevro da ogni dogmatismo e sempre ampliandosi in pluridirezionali ricerche espressive e analisi multilivellari non solo nella introspezione di se stesso, ma con polisemantiche interpretazioni anche e sopra tutto nella fenomenologia storico-politica e nel vissuto del collettivo umano immerso nell’epocale crogiolo ideologico.
E Dallas, figlio genuino di questa per molti versi tragica generazione postbellica, è sin dall’inizio inserito, si direbbe geneticamente, nel fuoco appunto della predetta politicizzazione ideologica e sociale, non tanto in una “poesia di battaglia”, quanto in una “poesia di idee”.
Eliot e Mayakosvsky costituiscono i precursori ideali delle sue prime indagini letterarie, insieme con la determinante presenza del verbo di Andreas Kalvos, le cui tracce seguirà anche in prosieguo di tempo, e le visioni palingenetiche di Anghelos Sikelianòs. Non bisogna nondimeno dimenticare in particolare la diuturna, profonda lezione degli antichi tragici e i paradigmatici itinerari poetici degli antichi lirici greci.
Com’è noto, la prima generazione postbellica del ’60 è stata definita “generazione della sconfitta”, conto tenuto del fatto, più unico che raro, dell’appartenenza di un idoneo numero di suoi rappresentanti alle fila del mondo ideologico della Sinistra, in generale, e comunista in casi specifici, e pertanto ad una formazione partitica il cui braccio armato uscì sconfitto dopo un triennio (1946-1949, ma meglio sarebbe dire dal 1943 al 1949 con proiezioni ben oltre il 1951) di atroce guerra civile, a conclusione di una serie di eventi politici e militari sin dalla fine del 1944 sfortunati, male analizzati e decisi dagli esponenti di guida emersi dalla lotta partigiana antitedesca, e inoltre aggravati dall’intervento straniero (inglese) indiscriminatamente violento e devastante.
In questa sconfitta, dapprima limitata alla zona della capitale Atene. ma poi, col passar degli anni, estesa in una zona d’azione di vaste dimensioni territoriali, non sono punto estranee, come più tardi si ebbe modo di riconoscere, le fondamentali determinazioni messe in atto dopo il vero e proprio patteggiamento (come si suole fare tra mercanti, solo che nel nostro caso la merce erano intere Nazioni!) avuto luogo nella Conferenza di Yalta(1945), accordi che in definitiva avevano del tutto precluso la possibilità che la Grecia appartenesse, nella “divisione” dell’allora mondo europeo, allo spazio operativo socialista/comunista dell’URSS, essendo stato “concordato” che dovesse stare nella sfera di influenza della Gran Bretagna.
In tal modo la lotta intrapresa dalle forze democratiche contro il primo governo greco conservatore del dopo guerra sostenuto quindi sopra tutto militarmente dai britannici, era in partenza destinata al fallimento ove si consideri l’esclusione di ogni aiuto ai partigiani greci da parte sia sovietica che jugoslava e bulgara(era evidente che nella “spartizione” il “guadagno” di Stalin (Bulgaria, Jugoslavia, Romania, Ungheria, Cecoslovacchia, Polonia e metà Germania ampiamente compensava la “concessione” della Grecia!).
Sta di fatto perciò che i poeti di questa (prima) generazione del ‘60, che inizia a produrre sostanzialmente nel periodo 1940-1954, sono stati gli unici, nella letteratura ellenica contemporanea, a sperimentare non solo sulla propria pelle, ma ancor più nella propria coscienza e mente le cocenti delusioni e frustrazioni derivate dalla riscontrata inanità di un conflitto inevitabilmente perso (ma certo essi non sapevano che comunque “dovevano” perderlo), non soltanto sul terreno dei combattimenti, ma in special e più tormentoso modo in ambito politico-ideologico, con quelle conseguenze drammatiche che non tardarono a manifestarsi trascinandosi poi per molti anni ancora (v. le famigerate isole di Jaros, Makrònissos, Ais Stratis), per non dire delle persecuzioni familiari, soprusi, intimidazionmi, ecc.).
Nel clima di quell’epoca “dannata”, dominata dalle subornazioni e corruzioni di ogni genere della Destra, parlamentare e con più sopraffazioni extraparlamentare, vincitrice e sfrenata nelle sue rappresaglie. la poesia di Jannis Dallas, da una parte, e quella di Livaditis e Anagnostakis dall’altra, si completano a vicenda creando poeticamente una nuova, complessiva essenza di etica ideologica ed esistenziale, una nuova linea maestra di vita e di consapevolezza di sè.
Il fervore poetico pur espresso nei modi di una pacatezza grata per lo sfortunato valore di tutti gli sconfitti, non può non porsi di fronte e riproporsi alla riflessione sulla decadenza subìta ma pure sulla ipotesi di una rinascita dalle ceneri.
Finalmente però e comunque la risposta agli interrogativi prodotti in seno a tutta questa generazione – coinvolta, abbandonata e tradita – nel coacervo delle vicissitudini storiche, politiche e ideologiche degli anni di piombo tra il 1945 e il 1974 con i successivi strascichi fino al 1990, sembra ormai permettere considerazioni consuntive che, mentre riconoscono, da una parte, l’onestà delle verità e aspettative di una partecipazione ad un legittimo progetto di liberazione nazionale, riscontrano tuttavia, dall’altra, quello che viene sentito come un tradimento subìto, due sentimenti di difficile conciliazione quando la sconfitta è stata praticamente e cinicamente “imposta”, in contumacia proprio della parte sconfitta, una ferita a lungo rimasta scoperta.
Gli esiti del 1945 e del 1949, poi, tornano a nuova vita negli anni della c.d. dittatura dei colonnelli(1967-1974) non lasciando scampo ormai a nessuna intenzione di recupero della passata idealità rimasta inattuata: e “stato d’assedio” e “una terra alterata” sono le espressioni di Dallas che ben riflettono la stato di deformazione dell’ambiente umano e naturale.
Attualmente quasi tutti quei combattenti – con la penna o con il fucile – non esistono più. Ne rimane sempre però la memoria di un’epopea di tragica, mortale grandiosità (sia pure non del tutto esente da macchie, colpe e vergogne – si direbbe ovvie in simili eventi giganteschi) e la poesia di Dallas, fortemente rappresentativa e sanguignamente allusiva, possiede senza interruzione l’indomabile coraggio, e fors’anche certezza, di chiedersi se insomma, alla fin fine, vi siano stati vincitori e vinti al termine di quello spietato massacro intestino e cosa sia rimasto dopo tutte quelle lotte di idee e morti di uomini.
Ciò che conduce direttamente il poeta all’osservazione che non sia affatto terminato il conflitto e, mutatis mutandis, siano tuttora possibili sviluppi propizi alle prospettive ideologico-sociali rimaste frustrate nel passato: un rinascimento, dunque, della e nella dignità umana e feconda socialità proprio in un momento e in un mondo di serpeggiante disorientamento collettivo – ciò che è la prova concreta della presenza meditativa di Dallas sempre vigile, viva, attuale, tesa al divenire, sempre trasfigurata nella reatà poetica.
Ed è chiaro, in ultima analisi, che l’unica cosa vera e inesauribile che rimane è indubbiamente la vita e il destino dell’arte, la vita e il destino della poesia: una incessante avventura nel perenne, consolatorio e miticamente avvincente. Ed è non meno certo che Jannis Dallas vive questa perennità in un evolversi poetico manifestato sempre in prima persona singolare e in prima persona plurale: l’Io vivo e indissolubilmente connesso con il Noi.
Alcuni suoi versi che confermano l’asserzione, illumineranno qui la riflessione del Poeta:
– chi, prima che / la notte scenda, metterà in ordine queste crollanti / voci dei nostri giorni inani?
– le valli gemono per contenere gli ammazzati
– adesso assesto l’inservibile gloria
– i giardini pubblici sono strapieni di donne / che si danno supine ai cani / e ai
marinai inglesi
– il diluvio che…ora entra nella tomba della mia generazione
– che non si chiuda la segreta fessura della memoria
– non sparare…altri traccianti nelle memorie cieche
– Penso / a quanti sono morti ad esempio per il Ieri / (.)e noi / volendo espatriarci
nel Domani / spalanchiamo queste nascoste piaghe
– senza i sostegni che conoscevi / le mani insorte
– a passi grevi i carri armati allungando le loro proboscidi
– Fischiettando fallite parole d’ordine
– Vivo su una terra alterata
– siamo passati attraverso / le Porte Scee / ma dov’è quella che mi promettesti, / dov’è quella che era attesa?
– Come poter udire i battiti del cuore dopo tanto dissanguamento?
PICCOLA ANTOLOGIA
Ο χρόνος
τα πένθιμα εμβόλια
Ξημέρωνε μ’ ένα φως που γλιστρούσε σαν κρέπι κι άφηνε
ξέσκεπες οροφές και πλατείες
κι ύστερα μ’ ένα στρας ουράνιου τόξου που άστραφτε
σαν να δρεπάνιζε ως πέρα τον ορίζοντα
αρχίζοντας απ’ τον αυχένα της απέναντι πλαγιάς –
το φως έπεφτε τώρα κάθετα στην πολιτεία και χαράζοντας
από ψηλά το δέρμα της
ο χρόνος βυρσοδέψης το άφηνε να πέφτει αθόρυβα
στα πόδια μας σε ραβδωτές λωρίδες
Τότε καθένας έσκυβε και παίρνοντας πειθήνια τη ζέβρα του
τη φόραγε κατάσαρκα σαν ισοβίτης
Σαν μισοφέγγαρα
(Στο τείχος)
Όταν καμιά φορά ταξίδευε στην άλλη συνοικία έβλεπε
τα ίδια δέρματα φιδιών στο τείχος που μας χώριζε
και φτάνοντας στην αγορά αντίκρυζε
τους ακροβάτες του άλλου στρατοπέδου
βγαίνοντας κι αυτοί σαν μισοφέγγαρα
από την άλλη βάρδια και τη γαλαρία
της υπεραξίας
Για αποκάλυψη
Ξυπνώντας σήμερα φαντάστηκα ένα ποίημα
να καταπίνει και να ξαναχύνει τα πάντα σαν
ένας υποβρύχιος ροφός ένας ανακυκλωτής
ένας σίφουνας μια μηχανική ή αστρική χοάνη
μιά αντιύλη
σαν ένας υποπόταμος
ουρανομήκης
κι εδώ κάτω
κεραυνωμένη γη
για αποκάλυψη
σχίσμα φωνής
και μέσα ο φθόγγος
σπηλαιώδης
αλληλούιος
Τα τελευταία τετράγωνα
Είχε περάσει τα σύνορα
τα τελευταία τετράγωνα
την ανατομία των πόλεων
τις συγκλίνουσες κι αποκλίνουσες
τόσες δομές και υπερδομές
τις προδιαγραφές και τα σχέδια
του αόρατου αρχιτέκτονα
Είχε περάσει τα σχήματα
τις τεθλασμένες χειρονομίες
τις γωνίες των αποφάσεων
τη χειραψία μισή μαχαιριά
την πυραμίδα της αγοράς
τα σιδερένια χαμόγελα
τους τραπεζίτες και τα λοιπά
σαρκοβόρα
Είχε περάσει τα σύνορα
τη διχοτομία του αίματος
Είχε περάσει κι ανέβαινε
εκεί που όλα γίνονται φως
γίνονται ηχοχρώματα
και κάτω ο άγνωστος φώναζε
κάποιος να γυμνωθεί να θυσιαστεί
κι αυτός ανέβαινε ανέβαινε
άρχισε να ρίχνει τα ρούχα του
έπεφταν κάτω σαν αλεξίπτωτα
δεν ήταν ρούχα ήταν δορές
απέξω μάσκες κι από μέσα δορές
η δορά του αμνού και του λύκου
κι η μάσκα του μάγου
(Τα πρόσωπα μαζί με τα προσωπεία)
Κι απάνω θηριώδης ο ήλιος
παμβασιλέας του κόκκινου
κόκκινη γλώσσα κόκκινη φωνή
του μιλούσε
Του γύρευε καινούργια κοσμογονία
Από Διαβατήρια ή πορθμεία
8.
Ανάμεσα στην «Τρίτη» του Μάλερ
και στη σεληνιασμένη Αγαύη
κύλησε κι αυτό το καλοκαίρι
κατρακύλησε μες στις κατηφοριές της μνήμης
σαν το κεφάλι του άμοιρου Πενθέα
πριν καρφωθεί επάνω στο κοντάρι
κι ένα τρομπόνι απ’ τη ρωμαϊκή αρένα
ανηφόριζε και σπάραζε τη νύχτα
Ποια μουσική με τα ξυλόφωνα των κούφιων κεραυνών του
μου σκευωρεί ο ερχόμενος χειμώνας;
10.
Με την πιστή σκυλίσια σου ζωή
δειλέ πώς βγήκες σε κυνήγι λιονταριών;
14.
Είσαι το ναι που ξεδοντιάστηκε και σπαρταρά
έξω από τα δόντια
το ναι μιά σκουριασμένη κι άχρηστη λεπίδα
– ούτε χαρτοκόπτης! –
μιά μεταχειρισμένη λάμα του ξυρίσματος
μιά λάμα που ξυρίζει κοσμικότητες
την καθημερινή σου φάτσα
17.
Ρινίσματα αστεροειδών σ’ όλα τα βλέμματα
κι αυτοί μεταλλωρύχοι του διαστήματος
κάθε πρωί στα καταλύματά τους επιστρέφοντας
πόρτα την πόρτα για να εκτίσουν την ποινή
της συμβιώσεως
(Σαν τους ξενύχτηδες των παιδικών μας αναμνήσεων
που τους τραβολογούσαν ζαλισμένους μέχρι κλίνης
οι συμβίες)
27.
Άφησες τη φωνή στη μαύρη πίσσα
κι είχες τα κοφτερά γυαλιά στη γλώσσα
κι όμως ο χτεσινός σου λόγος βγήκε αναίμακτος
σαν μιαν απόφαση που δεν λογάριασε τη μοίρα
Πρώτα η φωνή σου κι ύστερα τα αίματα
Σαν ένα αυλάκι που για μιa στιγμή διχάστηκε
και φάνηκε ο κολυμβητής ολόσωμος
κρατώντας το μαργαριτάρι ντου βυθού
ενώ οι άλλοι με τα μεταλλίκια μες στα δόντια τους
πορεύονταν με μαύρους κύκλους στον Καιάδα
Γήινες νύχτες
Γνώρισα κι άλλες νύχτες εδώ κάτω γήινες
Τη νύχτα που έγινε ο σεισμός και φάνηκε ο πυρήνας
της καρδιάς μας κόκκινος
τή νύχτα του ληστή που έγινε κλέφτης στα βουνά
κι αυτοπυροβολήθηκε
τη νύχτα του άγριου κυνηγιού μες στα διασταυρούμενα
πυρά των πόλεων
του βουτηχτή που δεν επέστρεψε του ουρανοβάτη
που γκρεμοτσακίστηκε
Τη μια νύχτα μες στην άλλη νύχτα ως την πρώτη και
βαθύκολπη
απ’ όπου βγήκε ο ποιητής και πίσω του
τελώνες καταδότες πόρνοι κι άλλοι
προσωπιδοφόροι
Το σχήμα της απουσίας
Οι άνθρωποι
έφυγαν
βούλιαξαν ή πέταξαν
με τα λοφία
και τα κουρέλια τους
πέταξαν ή βούλιαξαν
κι έμεινε το σχήμα τους
όπως στους παλιούς
σιδερένιους σομιέδες
το βούλιαγμα των κορμιών
και στ’ άδεια κλουβιά
το χέρι
που φτερούγισε
των μονομάχων
Οι τρυφηλοί βόες
Αυτούς
δεν θα τους βρεις
στα μαυσωλεία
ή στα μουσεία
Φυσικής προϊστορίας
με τ’ άλλα συντηρητικά
μες στη φορμόλη
Όταν εσύ κοιμάσαι
βγαίνουν απ’ τις λόχμες τους
κι ανακλαδίζονται
στα φιλιατρά της λίμνης,
όπου ανεβαίνουν και
τυλίγονται στις σπείρες τους
με στεναγμούς
και με σπασμούς εξαίσιους
οι κόρες των βυθών
οι βιασμένες
κι ενώ γλιστρούν δυό-δυό
ξανά στις κρύπτες τους
η λίμνη του Ζηρού
γυαλίζει κόκκινη
σκάζουν αυγά
κι από τ’ αυγά πετάγονται
τέρατα κι άλλοι σαλτιμπάγκοι
του εμφυλίου
(Κοντά στην πόλη Φ.
όπου γεννήθηκα)
Το πλάγκτον
Το πλάγκτον ενός υδροβιότοπου έχει
μεγάλη σημασία για τα διαστημικά
ταξίδια: η ύπαρξη του διοξειδίου του
άνθρακος μεταβολίζεται σε ουσία ορ-
γανική κατά την εισπνοή του αστρο-
ναύτη, ενώ η απελευθέρωση του οξυ-
γόνου με τη φωτοσύνθεση ζωογονεί τη
διαστημική αναπνοή του.
ΤΑ ΕΓΚΥΚΛΟΠΑΙΔΙΚΑ ΛΕΞΙΚΑ
Κι εκεί που πλέαμε
ο χρόνος πισωπάτησε
το σκάφος έγινε σκαφίδι
και πιρόγα
κι εμείς ντυμένοι με δορές
πλειοστόκαινες
στον έλεος του τιμονιέρη
που μας φώναζε:
κοιτάξτε εκεί
την άπλαστη μορφή
κι εκείνη τη μισοπλασμένη
αρθρόποδα πτερόποδα
ακτινόποδα
ανάμεσα ένας νεροβούβαλος
και με φτερά φανταστικά
αργυροπελεκάνοι ερωδιοί
να τρίζει στους αρμούς
ο σίδηρος
να σπινθηρίζει
ο πυριτόλιθος
σε κάθε βλέμμα
η σκόνη η αστρική
και το πλάγκτον βαθιά
να φωσφορίζει
Και κάθε νύχτα απ’ το στερέωμα
σαν εξωγήινος αρχάγγελος
να κατεβαίνει ο αναμενόμενος
ν’ ανανεώσει την πνοή
για την καινούργια πτήση του
ο αστροναύτης
Νικόπολη
Δεν είδε ο δυτικός ελληνισμός παρόμοια πόλη
με ηρώα και ναούς και πρυτανεία
τέτοια πρωτεύουσα σαν τις λαμπρές των Επιγόνων
Ούτε πρωτεύουσα ούτε σαν… Μια παρωδία!
Πόλη ιδρυμένη από στυγνές μετοικεσίες
χωρίς βασιλικήν αυτή ή βουλευτήρια
καπιταλιστική σαν τις δικές μας, μ’ εμπορεία
και στις δυο θάλασσες… Μια νοθή ομοσπονδία
που η Ρώμη εκ του μακρόθεν την πρακτόρευε
Για να τη στήσει ερήμωσε είκοσι πολίσματα
γυμνή από τους λαούς τους έτσι να υπερέχει
εύκολη λεία συγκαλυμμένη από μνημεία
να λάμπουν και να προκαλούν τη βουλιμία
κάθε εισβολέα, από στεριάς και από θαλάσσης
Απειρωτάν
Πήρε απ’ το χώμα της ανασκαφής
το νόμισμα
το γυάλισε με το μανίκι κι έλαμψε
με την καινούργια επιγραφή: Απειρωτάν
Το γύριζε στις Τράπεζες… Καμμιά
δεν δεχόταν να το πριμοδοτήσει
τα σύμβολά σας στα Μουσεία, του ‘λεγαν
Δεν είναι σύμβολα… Είν’ η αρχαία συνταγή
μιας νομισματικής κοινής πολιτικής
Κι οι μαντικές περιστερές που πέταξαν
κι ενώσαν δυο ηπείρους δυο ιερά
πώς δεν τη νοιώσαν δεν τη μάντεψαν
την επερχόμενη κατάρευση;
(Καιροί πτωχεύσεων καιροί της Αγοράς
η Ενωμένη Ευρώπη φύλλα και φτερά
ο σώζων εαυτόν σωθήτω)
Κι οι συνταγές σας στον Καιάδα, απάντησαν
Πίσω από κείνα τα βουνά
Είδες τον σφάχτη, πριν να φέξει, απάνω
στο Μακρύ Λιθάρι
να γονατίζει το κριάρι ανάμεσα στα σκέλια του
και μπήγοντας με την ανάστροφη την κάμα
ολομεμιάς στην καρωτίδα του
να πιδακίζει μες στα μούτρα του το αίμα και να βάφει
όλον τον ορίζοντα
το αίμα φλέβα σκοτεινή και κατακόκκινη;
Έτσι είναι όταν σκάει ο ήλιος τα χαράματα
πίσω από κείνα τα βουνά, του εμφιλίου…
Σαν μια ιδέα…
Σαν μια ιδέα που επιχείρησες
να τη σφηνώσεις μες στο ποίημα
κι αυτό κλωτσά και την απέρριψε
με τ’ άλλα απόβλητα του άστεως
Τώρα διπλώνεται κι απλώνεται
μες στη χαβούζα του εγκεφάλου σου
έρπει σαν τέρας κι αποπάνω της
απ΄ τους καιρούς των δεινοσαύρων
σφυρίζει ένας μετεωρίτης
Κυκεών
Άλει, μύλ’ άλει
και γαρ Πιττακός άλει…
Χαράζοντας πήρε τη δόση του και ρίχτηκε στο χωνευτήρι των
δρόμων
και τι ήταν;… Πολυσπόρια του Ψυχοσάββατου κι ο μέλας
ζωμός μιας Βακχίδας
επιδρομέας σε πόλη αναρχούμενη που όρμησε και ξεδιψά
απ’ το αίμα μας
με τους ζωντανούς άνω-κάτω στις πλατφόρμες και στις κυλιόμενες
σκάλες
τις ψυχές αναβράζουσες μέσα τους και τα συλλογικά τους κουρέλια
μετέωρα στις ηλεκτροστήλες των δέντρων σαν λάβαρα και στων
καλωδίων τ’ ακρόκλωνα
Άλεθε μύλε μου άλεθε!… Πανσπερμία των εποχών κάθε ηλικίας
και γένους
η γερουσία παραλυμένη ψελλίζοντας τη λύση των ιστών στο κορμί
της
οι άντρες ευνουχισμένοι ξεσπάθωτοι κι οι δεσποσύνες κλιτές
κι απειρόγαμες
με τους δονητές στους λωβούς τους εγκεφαλικές μέχρι μυελού
όστεων
Πού πήγαν οι καβαλλάρηδες του άλλου καιρού… Άλεθε μύλε
μου άλεθε
να μη μείνει σπυρί της σαρκός μου καρπός της κοιλίας τους
να ξαναφυτρώσουμε σαν τους Σπαρτούς απ’ τη μήτρα της γης
μακριά απ’ τις σαρκοβόρες αγορές και απ΄ τ΄ άσπονδα
πολιτ-μπιρώ του κόσμου
Ο τρίτος εαυτός
Ένοιωσα ξαφνικά να σπάζει η αλυσίδα
η μαρμαρόγλυπτη της δεύτερης ζωής μου
Να λύνονται οι ιστοί και να υποφώσκει,
στη σάρκα που άνοιξε, ο τρίτος εαυτός μου
ο νοητός κι εκεί αλλάζοντας το δέρμα
ν΄ αναγεννιέμαι κι η ψυχή μου ν΄ ακονίζεται
ολόγυμνη μες στους τροχούς της ιστορίας
αλώβητος απ΄ τις τροπές του χρόνου
Χρόνος του μέλλοντος ασπόνδυλος για πάντα
και στον αέρα να αιωρούνται λέξεις
λέπια και θρύψαλα του λόγου
και του χρόνου
Ύστατη έκκληση
Είστε να πάμε σ΄ άλλους ουρανούς στην αγκαλιά του ανέκφραστου
μακρυά απ΄ την πολυγαμική ζούγκλα των λέξεων;
Il tempo
funebri vaccini
Albeggiava con una luce che scivolava come crespo
scoperti lasciando tetti e piazze
e poi con uno strass d’arcobaleno a balenar come se
falciasse fin oltre l’orizzonte
a cominciar dal valico del versante di fronte –
adesso la luce cadeva verticale sulla città e dall’alto
incidendo la sua pelle
il tempo conciatore lasciandola cader senza rumore
in strisce scanalate ai nostri piedi
Allora ognuno si chinava ad afferrar docile la propria
zebra a fior di pelle indossandola come un ergastolano
Come mezzelune
(Sul muro)
Talvolta viaggiando all’altro sestiere scorgeva
le stesse pelli di serpenti sul muro che ci separava
e giunto al mercato s’imbatteva
negli acrobati dell’altro schieramento
che uscivano anch’ essi come mezzelune
dell’altro turno e galleria
del plusvalore
Per rivelazione
Oggi svegliandomi immaginai una poesia
che ingoiava e ributtava tutto come una
cernia sotterranea un riciclatore un vortice
un crogiolo meccanico o astrale
una antimateria
come un ippopotamo
alto fino in cielo
e quaggiù
terra fulminata
per rivelazione
fessura di voce
e dentro il suono
cavernoso
alleluiante
Gli ultimi isolati
Aveva oltrepassato i confini
gli ultimi isolati
l’anatomia delle città
le convergenti e le divergenti
tante strutture e superstrutture
le progettazioni e i disegni
dell’invisibile architetto
Aveva oltrepassato le forme
i gesti rifratti
gli angoli delle decisioni
la stretta di mano mezza coltellata
la piramide del mercato
i sorrisi di ferro
i bancari e gli altri
carnivori
Aveva oltrepassato i confini
la dicotomia del sangue
Aveva oltrepassato e saliva
là dove tutto diventa luce
suono e colore diventa
e di sotto gridava lo sconosciuto
si spogli qualcuno si sacrifichi
ed egli saliva saliva
cominciava a gettar i suoi vestiti
cadevano di sotto come paracaduti
vestiti non erano pelli erano
fuori maschere e dentro pelli
la pelle dell’agnello e del lupo
e la maschera del mago
(I volti insieme con le maschere)
E in alto mostruoso il sole
sovrano del rosso
lingua rossa voce rossa
gli parlava
Una nuova cosmogonia gli chiedeva
Da Passaporti o traghetti
8.
Tra la “Terza” di Mahler
e l’epilettica Agave
è trascorsa anche questa estate
rotolata sui pendii della memoria
come la testa dello sventurato Penteo
prima di piantarsi sulla lancia
e un trombone dalla arena romana
saliva e straziava la notte
Quale musica di xilofoni delle sue rauche folgori
contro me sta tramando l’inverno veniente?
10.
Con la tua fedele vita da cani
vigliacco come uscisti a caccia di leoni?
14.
Sei il sì sdentato che palpita
fuori dai denti
il sì una lama arrugginita e inutile
– neppure tagliacarte! –
una lametta da barba utilizzata
una lametta che rade mondanità
la tua faccia quotidiana
17.
Limature di asteroidi in tutti gli sguardi
e minatori dello spazio questi
di ritorno ai loro alloggi ogni mattino
porta dopo porta per espiare la pena
della convivenza
(Come i nottambuli dei nostri ricordi d’infanzia
che le mogli trascinavano intontiti nei loro letti)
27.
Lasciasti la voce nel catrame nero
e sulla lingua avevi vetri taglienti
eppure esangue uscì il tuo discorso di ieri
come decisione che conto non tiene della sorte
Dapprima la tua voce e poi il sangue
Come un alveo per un attimo biforcato
tutt’intero svelando il nuotatore
a stringer la perla del profondo
mentre gli altri con le monete tra i denti
in cerchi neri si avviavano al precipizio
Notti terrestri
Anche altre notti, terrestri, ho conosciuto quaggiù
La notte che avvenne il terremoto e rosso apparve
il nucleo del nostro cuore
la notte del brigante diventato ladro sulle montagne
e si sparò
la notte della caccia selvaggia in mezzo ai fuochi
incrociati delle città
del tuffatore che non fece ritorno del sognatore
che precipitò
Una notte dentro l’altra fino alla prima e
profonda
donde uscì il poeta e dietro a lui
doganieri spie prostituti ed altri
mascherati
La sembianza dell’assenza
Gli uomini
sono partiti
sono affondati o volati
con i pennacchi
coi loro cenci
sono volati o affondati
ne è rimasta la sembianza
come sulle vecchie
reti metalliche
l’incavo dei corpi
e nelle gabbie vuote
la mano
aleggiante
dei gladiatori
I voluttuosi boa
Questi
non li troverai
nei mausolei
o nei musei
di Preistoria Fisica
con quant’ altro conservato
nella formalina
Quando tu dormi
sbucano dai loro forteti
e si distendono
alle foci del lago,
dove risalgono e
nelle loro spirali s’avvolgono
sospirose
squisitamente spasimando
le fanciulle delle profondità
le violentate
e mentre scivolano due a due
nuovamente nei loro ipogei
il lago di Ziròs
luccica rosso
uova si schiudono
e balzano dalle uova
mostri ed altri saltimbanchi
della guerra civile
(vicino alla città di F.
dove sono nato)
Il plancton
Il plancton di un parco marino
è molto importante per i viaggi
nello spazio: il biossido di carbonio
si metabolizza in sostanza organica
all’atto dell’inspirazione dell’astro-
nauta, mentre l’emissione dell’os-
sigeno con la funzione clorofilliana
vivifica il suo respiro spaziale.
I dizionari enciclopedici
E durante la navigazione
il tempo arretrò
lo scafo divenne barchetta
e piroga
e noi vestiti di pelli
del pleistocene
alla mercè del timoniere
che gridava:
guardate lì
l’informe forma
e quella a metà formata
artropodi pteropodi
radiopodi
nel mezzo un bufalo
e con ali fantastiche
argentati pellecani aironi
alle giunture il ferro
a stridere
a scintillar
la selce
in ogni sguardo
la polvere stellare
e il plancton profondo
fosforeggiare
E ogni notte dal firmamento
come arcangelo extraterrestre
scendere atteso
per rinnovare il soffio
del suo nuovo volo
l’astronauta
Nikòpoli
Non vide mai simil città l’ellenismo occidentale
con monumenti ai caduti e templi portici e municipi
simil capitale come quelle splendide degli Epigoni
Nè capitale nè come… Una parodia!
Una città fondata da odiose migrazioni
senza una corte reale o un parlamento
capitalistica come le nostre, con porti commerciali
su entrambi i mari…Una federazione bastarda
un’ agenzia da lungi diretta da Roma
Per impiantarla venti cittadine devastò
senza i loro abitanti sì da esser preminente
facile preda mascherata da monumenti
che risplendono e provocano l’avidità
di ogni invasore, per terra e per mare
Απειρωτάν1
Dal terriccio dello scavo afferrò
la moneta
lucidandola sulla manica brillò
con la nuova iscrizione: Απειρωτάν
La portò in giro per le banche…Nessuna
accettò di avvalorarla
i vostri simboli nei musei, gli dicevano
Ma non sono simboli!.. È l’antica formula
di una comune politica numismatica
E le colombe divinatorie che volarono
due continenti unendo due sacrari
com’è che non hanno percepito, indovinato
l’avvicinarsi del crollo?
(Tempi di bancarotta tempi di Mercato
l’Europa Unita tutto sottosopra
si salvi chi può)
E le vostre formule allo sfascio, risposero
1) L’etimologia del termine Epiro, Ήπειρος, deriva dall’espressione dorica ΑΠΕΙΡΟΣ ΧΩΡΑ. La parola, quindi, απειρωτάν che appare sulle monete antiche è il genitivo dorico των Ηπειρωτών, ossia “degli Epiroti”.
Dietro a quelle montagne…
Hai visto il macellatore, prima dell’alba, sopra
il Masso Lungo
piegare tra le gambe il montone
e affondando la coltella in torsione
tutt’intera nella sua carotide
il sangue zampillar sulla sua faccia e tutto
l’orizzonte tingere
il sangue oscura vena e porpora viva?
Similmente quando il sole spunta all’alba
dietro a quelle montagne, della guerra civile…
Come un’idea…
Come un’idea che cercasti
di incuneare nella poesia
e questa recalcitrante la rigetta
insieme con gli altri rifiuti urbani
Adesso si piega e si distende
nella cisterna del tuo cervello
striscia come mostro e su di lei
dai tempi dei dinosauri
sibila un meteorita
Guazzabuglio
Màcina, mulino, màcina
anche Pittaco màcina
Sul far del giorno prese la solita dose e si gettò nel
crogiolo delle strade
e cos’era?.. Multisemi del Sabato delle Anime e il brodo nero2
di una Baccante
assalitrice in città scompaginata scagliàtasi a dissetarsi
col nostro sangue
con i viventi su e giù negli ascensori e sulle scale
mobili
le loro anime in sè ribollenti e i loro cenci collettivi
a mezz’aria sui pali elettrici degli alberi come stendardi
e alle estremità dei fili
Màcina mio mulino màcina!..Multisemenza delle epoche
di ogni età e genere
il senato paralizzato a farfugliar la soluzione dei tessuti
nel suo corpo
gli uomini csatrati snudati e le damigelle declinanti
e nubili
con i vibratori nei loro lobi cerebrali sin nel midollo
delle ossa
Dove sono i cavalieri di altri tempi…Màcina mio mulino
màcina
nè ci rimanga un granello della mia carne frutto del
loro ventre
e germogliamo di nuovo come i Seminati dall’utero
della terra
lontano dai mercati carnivori e invertebrati
politburo del mondo
2) Sabato delle Anime: Ψυχοσάββατο: nel culto Ortodosso sono due sabati destinati alle preghiere in favore dei defunti.
Brodo nero: μέλας ζωμός: piatto preparato presso Sparta antica, simbolo della frugalità dei costumi spartani. Conteneva uno spezzatino di maiale reso scuro dall’aggiunta di sanguinaccio e vino.
Il terzo se stesso
D’un tratto sentii spezzarsi la catena
sculta nel marmo della mia seconda vita
Disfarsi i tessuti e nella carne
dischiusa apparir il terzo me stesso
intelligibile e lì cambiando pelle
rinascere e la mia anima acuirsi
tutta nuda negli ingranaggi della storia
illeso nei tramutamenti del tempo
Tempo del futuro invertebrato per sempre
e svariare a mezz’aria parole
squame e tritume del parlare
e del tempo
Estremo appello
Ci state che andiamo in altri cieli nell’abbraccio dell’inesprimibile
lontano dalla poligamica giungla delle parole?