Louise-Victorine Choquet Ackermann

a cura di Emilio Capaccio
Louise-Victorine Choquet Ackermann nacque a Parigi il 30 novembre del 1813 da una famiglia originaria della Piccardia, regione della Francia settentrionale. Fu la prima di tre sorelle. Suo padre, volterriano e fervente ammiratore degli enciclopedisti[1], si occupò dell’istruzione della figlia, facendole impartire un’educazione profondamente imperniata sugli ideali dell’Illuminismo e sui paradigmi della filosofia volterriana, molto lontana perciò dall’impronta religiosa, così come contrariamente avrebbe voluto sua madre in ossequio alle convenzioni sociali dell’epoca. La madre però non si fece avvincere del tutto dal radicalismo filosofico del marito e tentò varie volte di orientare la figlia verso un’educazione cattolica, pretendendo che facesse la prima comunione e frequentasse gli ambienti religiosi, quando già si erano trasferiti a Montdidier, a sud-est di Amiens, capoluogo della Piccardia, in un contesto rurale di completa quiete e solitudine che la madre di Louise-Victorine mal sopportava. La conseguenza di queste diversi orientamenti educativi propinati dai genitori, fu che la poetessa oscillò per tutta la vita tra un pensiero lucido e meditativo della realtà e della natura e la necessità di far germogliare una fede che l’avvicinasse a Dio, seppure non ci riuscì mai del tutto; tale conflitto interiore emerge con chiarezza anche nella sua poesia, inclinazione che manifestò già nei primi anni dell’età adolescenziale. Nel 1829 ottenne di frequentare l’istituto pedagogico diretto dalla madre dell’abate Saint-Léon Daubrée, dove in breve tempo divenne l’alunna più diligente dell’istituto e la preferita del professore di letteratura, Biscarat, amico della famiglia di Victor Hugo al quale sottopose alcune poesie dell’alunna. Nel 1838, dopo la morte del padre, partì per Berlino per poter studiare e perfezionare il tedesco, presso un istituto femminile; qui rimase per un anno, tornò a Montdidier e tre anni dopo, alla morte della madre, fece ritorno a Berlino dove conobbe Paul Ackermann, pastore protestante, poeta originario dell’Alsazia e amico di Pierre-Joseph Proudhon (1809-1865). Louise-Victorine sposò Paul Ackerman nel 1843, ma dopo tre anni felici di matrimonio, la poetessa rimase vedova: Paul morì per una grave malattia il 26 luglio del 1846, all’età di 34 anni. Louise-Victorine si trasferì a Nizza e comprò un piccolo appezzamento di terreno dove si dedicò a vari lavori agricoli e a scrivere poesie. Nel 1855 apparve la sua prima pubblicazione: Contes en vers, e nel 1862 Contes et poésies. Fu però nel 1874, con la pubblicazione di: Poésies, premières poésies, poésies philosophiques, che Louise-Victorine attirò l’attenzione dei salotti letterari parigini e dei critici. In questa raccolta la poetessa esprimeva attraverso una forma lirica chiara e precisa, e un cupo pessimismo, la sua ribellione contro il dolore umano e contro i pregiudizi, rinunciando a nutrire speranze di salvezza in una vita dell’aldilà e accettando la sua condizione di essere umano irredimibile e finito da un punto di vista biologico, con decoro e rassegnazione. Nel 1883 pubblicò infine un volume in prosa, nella forma di una confessione intima, dal titolo: Pensées d’une solitaire anteponendo una sua biografia. Morì a Nizza il 3 agosto del 1890.
À la comète de 1861
Bel astre voyageur, hôte qui nous arrives
des profondeurs du ciel et qu’on n’attendait pas,
où vas-tu? Quel dessein pousse vers nous tes pas?
Toi qui vogues au large en cette mer sans rives,
sur ta route, aussi loin que ton regard atteint,
n’as-tu vu comme ici que douleurs et misères?
Dans ces mondes épars, dis! avons-nous des frères?
T’ont-ils chargé pour nous de leur salut lointain?
Ah! quand tu reviendras, peut-être de la terre
l’homme aura disparu. Du fond de ce séjour
si son oeil ne doit pas contempler ton retour,
si ce globe épuisé s’est éteint solitaire,
dans l’espace infini poursuivant ton chemin,
du moins jette au passage, astre errant et rapide,
un regard de pitié sur le théâtre vide
de tant de maux soufferts et du labeur humain.
Alla cometa del 1861[2]
Bell’astro viaggiatore, ospite che ci arriva
delle profondità del cielo e non lo aspettavamo,
dove vai? Quale disegno a noi sospinge i tuoi passi?
Tu che navighi al largo di questo mare senza rive,
sul tuo cammino, così distante che il tuo sguardo copre,
non hai visto come qui dolori e miserie?
Per questi mondi sparsi, di’! abbiamo dei fratelli?
Ti hanno affidato per noi il loro saluto lontano?
O, quando ritornerai, forse dalla terra
l’uomo sarà scomparso. Dal fondo di questo soggiorno
se il suo occhio non dovesse contemplare il tuo ritorno,
e questo globo sfinito si fosse spento solitario,
dallo spazio infinito proseguendo il tuo cammino,
getta al passaggio, astro rapido e errante,
perlomeno un sguardo di pietà sul teatro vuoto
dei tanti mali sofferti e della fatica umana.
Le positivisme
Il s’ouvre par-delà toute science humaine
un vide dont la Foi fut prompte à s’emparer.
De cet abîme obscur elle a fait son domaine;
en s’y précipitant elle a cru l’éclairer.
Eh bien! nous t’expulsons de tes divins royaumes,
dominatrice ardente, et l’instant est venu
tu ne vas plus savoir où loger tes fantômes;
nous fermons l’Inconnu.
Mais ton triomphateur expiera ta défaite.
L’homme déjà se trouble, et, vainqueur éperdu,
il se sent ruiné par sa propre conquête
en te dépossédant nous avons tout perdu.
Nous restons sans espoir, sans recours, sans asile,
tandis qu’obstinément le Désir qu’on exile
revient errer autour du gouffre défendu.
Il positivismo
Si apre oltre ogni scienza umana
un vuoto di cui la Fede fu pronta ad impossessarsi.
Di questo abisso oscuro ha fatto il suo campo;
e gettandovisi ha creduto illuminarlo.
Ebbene! ti espelliamo dai tuoi divini regni,
dominatrice ardente, e l’istante è giunto
non saprai più dove alloggiare i tuoi fantasmi;
arrestiamo l’ignoto.
Ma il tuo trionfatore espierà la tua disfatta.
L’uomo già si turba, e, vincitore sconvolto,
si sente rovinato dalla sua stessa conquista
spossessando te abbiamo perso tutto.
Restiamo senza speranza, senza ricorso, senza asilo,
mentre ostinatamente il Desiderio che si esilia
ritorna a errare intorno al baratro proibito.
Adieu à la poésie
Mes pleurs sont à moi, nul au monde
ne les a comptés ni reçus,
pas un oeil étranger qui sonde
les désespoirs que j’ai conçus.
L’être qui souffre est un mystère
parmi ses frères ici-bas;
il faut qu’il aille solitaire
s’asseoir aux portes du trépas.
J’irai seule et brisant ma lyre,
souffrant mes maux sans les chanter;
car je sentirais à les dire
plus de douleur qu’à les porter.
Addio alla poesia
Le mie lacrime appartengono a me,
nessuno al mondo le ha contate né ricevute,
non un occhio estraneo che sonda
le disperazioni che ho concepito.
L’essere che soffre è un mistero
quaggiù tra i suoi fratelli;
occorre che vada solitario
a sedersi alle porte del trapasso.
Andrò sola e infrangendo la mia lira,
soffrirò i miei mali senza cantarli;
perché a dirli sentirei
più dolore che a portarli.
Le fantôme
D’un souffle printanier l’air tout à coup s’embaume.
Dans notre obscur lointain un spectre s’est dressé,
et nous reconnaissons notre propre fantôme
dans cette ombre qui sort des brumes du passé.
Nous le suivons de loin, entraînés par un charme
a travers les débris, à travers les détours,
retrouvant un sourire et souvent une larme
sur ce chemin semé de rêves et d’amours.
Par quels champs oubliés et déjà voilés d’ombre
cette poursuite vaine un moment nous conduit
vers plus d’un mont désert, dans plus d’un vallon sombre,
le fantôme léger nous égare après lui.
Les souvenirs dormants de la jeunesse éteinte
s’éveillent sous ses pas d’un sommeil calme et doux;
ils murmurent ensemble ou leur chant ou leur plainte,
dont les échos mourants arrivent jusqu’à nous.
Et ces accents connus nous émeuvent encore.
Mais à nos yeux bientôt la vision décroît;
comme l’ombre d’Hamlet qui fuit et s’évapore,
le spectre disparaît en criant: «Souviens-toi!».
Il fantasma
D’un soffio primaverile l’aria all’improvviso s’imbalsama.
Nel nostro oscuro lontano uno spettro si è drizzato
e noi riconosciamo il nostro stesso fantasma
in questa ombra che esce dalle nebbie del passato.
Lo seguiamo da lontano, trascinati da un fascino
attraverso cocci, attraverso deviazioni,
ritrovando un sorriso e molto spesso una lacrima
su questa strada seminata di sogni e di amori.
Per quei campi obliati e già velati d’ombra
questo vano inseguimento un momento ci conduce
verso più di un monte deserto, in più di un vallone oscuro,
leggero il fantasma, dietro di lui ci perdiamo.
I ricordi dormienti della gioventù ammortita
si svegliano sotto i suoi passi da un sonno calmo e dolce;
mormorano insieme o cantano o si lamentano,
dei quali fino a noi giungono i morenti echi.
E questi accenti conosciuti ci commuovono ancora.
Ma ai nostri occhi presto la visione decresce;
come l’ombra di Amleto che fugge e s’evapora
lo spettro si dissolve gridando: «Ricordati!».
Un autre coeur
Serait-ce un autre coeur que la Nature donne
a ceux qu’elle préfère et destine à vieillir,
un coeur calme et glacé que toute ivresse étonne,
qui ne saurait aimer et ne veut pas souffrir?
Ah! qu’il ressemble peu, dans son repos tranquille,
a ce coeur d’autrefois qui s’agitait si fort!
Coeur enivré d’amour, impatient, mobile,
au-devant des douleurs courant avec transport.
Il ne reste plus rien de cet ancien nous-mêmes;
sans pitié ni remords le Temps nous l’a soustrait.
L’astre des jours éteints, cachant ses rayons blêmes
dans l’ombre qui l’attend se plonge et disparaît.
A l’horizon changeant montent d’autres étoiles.
Cependant, cher Passé, quelquefois un instant
la main du Souvenir écarte tes longs voiles,
et nous pleurons encore en te reconnaissant.
Un altro cuore
Quello sarebbe un altro cuore che la Natura dà
a coloro che predilige e destina a invecchiare,
un cuore calmo e gelido che ogni ebbrezza spaventa,
che non saprebbe amare e non vuol soffrire?
O, che somiglia poco, nel suo riposo tranquillo,
a quel cuore d’una volta che s’agitava sì forte!
Cuore ebbro d’amore, mobile, impaziente,
avanti ai dolori che corrono con trasporto.
Non resta più niente di questo anziano noi stessi;
senza pietà né rimorso, il Tempo ce l’ha sottratto.
L’astro dei giorni spenti, nascondendo i suoi lividi raggi
nell’ombra che l’attende s’immerge e scompare.
All’orizzonte mutevole salgono altre stelle.
Tuttavia, caro Passato, talvolta per un istante
la mano del Ricordo scosta i tuoi lunghi veli,
e noi piangiamo ancora riconoscendoti.
Non, ton éternité
Non, ton éternité d’inconscience obscure,
d’aveugle impulsion, de mouvement forcé,
tout l’infini du temps ne vaut pas, ô Nature!
la minute où j’aurai pensé.
No, la tua eternità
No, la tua eternità di incoscienza oscura,
di cieco impulso, di movimento forzato,
tutto l’infinito del tempo non vale, o Natura!
il minuto in cui avrò pensato.
[1] [1] Gli enciclopedisti furono un gruppo di intellettuali che sotto la direzione del filosofo Denis Diderot (1713-1784) pubblicarono nel XVIII secolo una vasta enciclopedia dal titolo: “L’Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze e delle arti e dei mestieri”, improntando l’opera con chiari principi dell’Illuminismo.
[2] Si tratta della Grande Cometa del 1861 o Cometa di Tebbutt, dal nome del giovane agricoltore John Tebbutt, con la passione per l’astronomia, che per primo la avvistò il 13 maggio del 1861 nella cittadina di Windsor, nei pressi di Sidney, in Australia. La Cometa di Tebbutt è una cometa a lungo periodo, cioè passa a una distanza visibile dalla Terra ogni 409 anni, pertanto il suo ritorno è atteso nel 2269.
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