Porfirio Barba Jacob

a cura di Emilio Capaccio
Porfirio Barba-Jacob, pseudonimo di Miguel Ángel Osorio Benítez, nacque a Santa Rosa de Osos, nel dipartimento di Antioquia, in Colombia, il 29 luglio del 1883. Trascorse gran parte della sua infanzia con i nonni ad Angostura. A vent’anni, diplomatosi in Lettere, fondò la scuola rurale “Escuela de la Iniciación”, ad Antioquia.
Qualche anno più tardi intraprese un lungo vagabondaggio, dapprima per la Colombia e successivamente per i Paesi dell’America centrale, accompagnato dalla sua fama di bohémien ribelle, sregolato e provocatore, dichiarandosi apertamente omosessuale.
Nel 1902 fondò a Bogotá il periodico letterario “El Cancionero Antioqueño”, che diresse per qualche anno; scrisse la novella Virginia, che non sarà mai pubblicata perché il manoscritto originale fu requisito dal sindaco della città con la motivazione di essere profondamente immorale.
Tra il 1906 e il 1907 a Barranquilla comparvero i suoi primi versi su alcuni periodici e riviste letterarie che saranno parzialmente raccolti e pubblicati nella sua prima antologia poetica con il titolo: Campiña Florida (1907).
Due anni più tardi si trasferì a Monterrey, in Messico. In questo periodo iniziò a fare un uso costante e smodato della marijuana.
Secondo alcuni biografi ci sarebbe addirittura un giorno preciso, a partire dal quale Barba-Jacob iniziò a consumare marijuana senza più smettere fino alla morte: la notte del 29 agosto del 1909, quando un grande diluvio s’abbatté sulla città di Monterrey provocando più di seimila vittime. La visione orrenda di macerie e cadaveri avrebbe indotto il poeta a estraniarsi dalla realtà con la somministrazione di questa droga.
A Monterrey fondò “Revista Contemporánea” e fu capo redattore del periodico “El Espectador”.
A causa dei suoi continui attacchi contro il regime di Porfirio Diaz fu incarcerato per sei mesi e liberato dai rivoluzionari, ma fu costretto a fuggire frettolosamente dal paese quando pubblicò un articolo compromettente sull’assassinio del ex presidente Francisco Madero.
Si trasferì in Guatemala, poi a Cuba, qualche mese a New York, poi Honduras e El Salvador, collaborando con periodici e riviste letterarie e continuamente incarcerato ed espulso dai regimi dittatoriali dei paesi in cui si trovava, a causa delle sue invettive, dei continui scandali derivanti dalla sua condotta e della sua scrittura pungente ed irriverente.
Nel 1927 ritornò in Colombia, collaborando con la rivista “El Espector”. Qualche tempo dopo, deluso e biasimato dalla gente e dai salotti letterari, si recò nuovamente a Cuba, giurando che non sarebbe più tornato in Colombia. Qui conobbe fra l’altro Federico García Lorca.
A partire dal 1930, si stabilì definitivamente in Messico, fino alla sua morte, causata da tubercolosi, il 14 gennaio del 1942.
(*) Tratto da Malinconico oscuro di Aa. Vv. – traduzioni di Emilio Capaccio [Poesia] anno 2014, pp. 15-17
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El verbo innumerable
I
Cuando las sombras fluyen bajo la luz eterna
del crepúsculo, y vuelan en argentinos haces
de lo alto de las torres, alígeros, fugaces,
los himnos concertados ad incensum lucerna,
oigo, cual si brotaran de lúgubre cisterna,
vocablos inarmónicos, llamamientos vivaces
a que nadie responde, y epítetos procaces
como rojizos lampos de la pasión interna …
Y no comprendo nada. Golpean en mi oído
palabras errabundas – rumores sin sentido
de atropelladas olas en túrbida marea.
Y el corazón demanda, desde su cárcel roja,
un inspirado intérprete que el tumulto recoja
y dé a las voces múltiples un ritmo y una idea
II
Después, sobre el pináculo donde el alcor culmina
¡combado, tibio seno de una deidad yacente!
oigo el rumor – persiste, persiste blandamente
y su virtud recóndita mi espíritu adivina:
Es Medellín, que alzando su clámide latina
y el áureo cetro, embriágase con sangre del poniente,
y entona un son burlesco y un cántico ferviente
mientras le mulle un lecho la sombra y se reclina …
Es Medellín – el fuego y el yunque ante la mano,
las seculares plantas en limo cotidiano,
y los azules ojos clavados en la altura –
que dice al éter vago, con verbo innumerable,
sus ímpetus confusos, su sueño, su inefable
preñez, y la fatiga de su labor oscura.
Il verbo innumerabile
I
Quando le ombre fluiscono sotto la luce eterna
del crepuscolo e volano come argentini rapaci
dall’alto delle torri, aligere, fugaci,
gli inni concertati ad incensum lucerna,
sento, qual spuntassero da lugubre cisterna,
vocaboli inarmonici, richiami vivaci
a cui nessuno risponde ed epiteti procaci
come rubri lampi d’una passione interna …
E non comprendo nulla. Feriscono il mio udito
parole errabonde, frastuono insensato, salito
da onde impetuose in torbida marea.
E chiede il cuore che il suo carcere si sciolga
e un ispirato interprete il tumulto raccolga
che alle multiple voci dia ritmo e idea!
II
Poi, sul pinnacolo, ove il poggio finisce
arrotondato, tepido seno d’una deità giacente!
odo il rumore – persiste, persiste blandamente
e la sua arcana virtù il mio spirto presagisce.
È Medellin che alzando la sua clamide latina
e l’aureo scettro, s’inebria del sangue di ponente,
intona un suono burlesco, un canto fervente,
e le ammorbida un letto l’ombra e si reclina …
È Medellin – l’incudine e il fuoco avanti alla mano,
le secolari piante in limo quotidiano,
e gli azzurri occhi inchiodati all’altura –
che dice all’etere vago, con verbo innumerabile,
i suoi impeti confusi, il suo sonno, la sua ineffabile
pregnanza, e la fatica della sua opera oscura.
Elegía del marino ilusorio
Pensando estoy… Mi pensamiento tiene
ya el ritmo, ya el color, ya el ardimiento
de un mar que alumbran fuegos ponentinos.
A la borda del buque van danzando,
ebrios del mar, los jóvenes marinos.
Pensando estoy… Yo, cómo ceñiría
la cabeza encrespada y voluptuosa
de un joven, en la playa deleitosa,
cual besa el mar con sus lenguas el día.
Y cómo de él cautivo, temblando, suspirando,
contra la Muerte
su juventud indómita, tierno, protegería.
Contra la Muerte,
su silueta ilusoria vaga en mi poesía.
Morir… ¿Conque esta carne cerúlea, macerada
en los jugos del mar, suave y ardiente,
será por el dolor acongojada?
Y el ser bello en la tierra encantada,
y el soñar en la noche iluminada,
y la ilusión, de soles diademada,
y el vigor… y el amor… ¿fue nada, nada?
¡Dame tu miel, oh niño de boca perfumada!
Elegia del marino illusorio (Inedito)
Sto pensando… Il mio pensiero ha
già il colore, già il ritmo, già l’ardimento
di un mare che illuminano fuochi ponentini.
Sul bordo delle barche vanno danzando,
ebbri del mare, giovani marini.
Sto pensando… Io, come cingerei
la testa increspata e voluttuosa
di un giovane, sulla spiaggia dilettosa,
qual bacia il mare con le sue lingue giorno qualsia.
E come di lui prigioniero, tremando, sospirando,
contro la Morte
la sua gioventù indomita, tenero, proteggerei.
Contro la Morte,
la sua sagoma illusoria vaga nella mia poesia.
Morire …Adunque questa carne cerulea, macerata
nei succhi del mare, soave e ardente,
sarà dal dolore agonizzata?
E l’essere bello nella terra incantata,
ed il sognare nella notte illuminata,
e l’illusione, di soli, diademata,
ed il vigore… e l’amore… tutto, tutto si sfata?
Dammi il tuo miele, oh fanciullo dalla bocca profumata!
Sabiduria
Nada a las fuerzas próvidas demando,
pues mi propia virtud he comprendido.
Me basta oír el perennal ruido
que en la concha marina está sonando.
Y un lecho duro y un ensueño blando;
y ante la luz, en vela mi sentido
para advertir la sombra que al olvido
el ser impulsa y no sabemos cuándo …
Fijar las lonas de mi móvil tienda
junto a los calcinados precipicios
de donde un soplo de misterio ascienda;
y al amparo de númenes propicios,
en dilatada soledad tremenda
bruñir mi obra y cultivar mis vicios.
Saggezza[1]
Nulla alle provvide forze domando,
poiché la mia virtù ho compreso.
Mi basta sentire il canto disteso
che nella conchiglia sta suonando.
E un letto duro e un sogno blando;
e avanti alla luce, di veglia, il mio sentire,
per scorgere l’ombra che a sfiorire
l’essere spinge e non sappiamo quando …
Fissare un’olona alle mie mobili tende
nei pressi di calcinati precipizi,
ove un soffio di mistero ascenda;
e col favore di numeri propizi,
in dilatata solitudine tremenda,
tergere la mia opera, coltivar i miei vizi.
Un Hombre
Al doctor Eduardo Santos
Los que no habéis llevado en el corazón el túmulo
de un Dios,
ni en las manos la sangre de un homicidio,
los que no comprendéis el horror de la conciencia
ante el universo,
los que no sentís el gusano de una cobardía
que os roe sin cesar las raíces del ser,
los que no merecéis ni un honor supremo,
ni una suprema ignominia.
Los que gozáis las cosas sin ímpetus ni vuelcos,
sin radiaciones íntimas, igual y cotidianamente fáciles,
los que no devanáis la ilusión del espacio y el tiempo,
y pensáis que la vida es esto que miramos,
y una ley, un amor, un ósculo y un niño.
Los que tomáis el trigo del surco rencoroso
y lo coméis con manos limpias y modos apacibles,
los que decís “Está amaneciendo”
y no lloráis el milagro del lirio del alba.
Los que no habéis logrado siquiera ser mendigos,
hacer el pan y el lecho con vuestras propias manos
en los tugurios del abandono y la miseria,
y en la mendicidad mirar los días
en una tortura sin pensamientos.
Los que no habéis gemido de horror y de pavor,
como entre duras barras,
en los abrazos férreos de una pasión inicua,
mientras se quema el alma en fulgor iracundo,
muda, lúgubre,
vaso de oprobio y lámpara de sacrificio universal:
Vosotros no podéis comprender el sentido doloroso
de esta palabra: ¡Un Hombre!
Un uomo
Al dottor Eduardo Santos
Voi che non avete portato nel cuore il tumulo
di un Dio,
né nelle mani il sangue di un omicidio,
voi che non comprendete l’orrore della coscienza
innanzi all’universo,
voi che non sentite il verme d’una codardia
che vi rode senza stroncare le radici dell’essere,
voi che non meritate un onore supremo,
né una suprema ignominia.
Voi che godete le cose senza impeti né sconvolgimenti,
senza radiazioni intime, uguali e quotidianamente facili,
voi che non districate l’illusione dallo spazio e dal tempo,
e pensate che la vita è questa che osserviamo,
e una legge, un amore, un osculo e un bambino.
Voi che prendete il grano del solco rancoroso
e lo mangiate con mani pulite e modi tranquilli,
voi che dite: “Sta facendo giorno”
e non piangete al miracolo del giglio dell’alba.
Voi che non siete riusciti ad essere neppure mendicanti,
fare il pane ed il letto con le vostre proprie mani
nei tuguri della miseria e dell’abbandono,
e guardare nell’inopia i giorni
in una tortura senza pensieri.
Voi che non avete gemuto d’orrore e di paura,
come tra dure sbarre,
negli abbracci ferrei di una passione iniqua,
mentre l’anima si brucia in fulgore iracondo,
muta, lugubre,
vaso d’obbrobrio e lampa del sacrificio universale:
Voi non potete comprendere il senso doloroso
di questa parola: Un Uomo!
Retrato de un joven
Pintad un hombre joven …con palabras leales
y puras; con palabras de ensueño y de emoción:
que haya en la estrofa el ritmo de los golpes cordiales
y en la rima el encanto móvil de la ilusión.
Destacad su figura, neta, contra el azul
del cielo, en la mañana florida, sonreída:
que el sol la bañe al sesgo y la deje bruñida,
que destelle en los ojos una luz encendida,
que haga temblar las carnes un ansia contenida
y que el torso, y la frente, y los brazos nervudos,
y el cándido mirar, y la ciega esperanza,
compendien el radiante misterio de la vida …
Ritratto di un giovane[2]
Dipingete un giovane uomo …con parole leali
e pure; con parole di sogno e d’emozione:
che nella strofa ci sia il ritmo di sospiri cordiali
e nella rima il mobile incanto dell’illusione.
Stagliate la sua netta figura, contro l’azzurro
del cielo, nella mattina florida e ardita:
che il sole la lavi in obliquo e la lasci brunita,
che splenda negli occhi la luce come sussurro,
che faccia tremare le carni un’ansia rabbonita
e che il torso, e la fronte, e le braccia in alleanza,
e il candido sguardo, e la cieca speranza,
assommino il radiante mistero della vita.
Ante el mar
Yo traje la visión de mis campos nativos
a la orilla del mar,
y la sentí borrarse y tuve un calofrío
de vida y muerte.
Yo traje la visión de un agua dilatada,
y en la orilla del mar
vi tan confuso el límite postrero de la tierra,
que tuve un calofrío de vida y muerte.
Y supe que el principio y el fin míos
no marcan las fronteras ni estatuyen los tiempos;
y aprendí la virtud del valle y de los légamos,
y se llenó de espíritu mi arcilla primordial.
Dilatando la vista
miré en redor la inmensidad sagrada,
como el hombre que sube entre la noche
a la cumbre más alta.
Y quise hablar …Y el fácil movimiento
de mis labios contuve.
¡Como si el proferir una palabra
fuera tal vez mi muerte!
Davanti al mare[3]
Io portai la visione dei miei campi nativi
sul bordo del mare,
e la sentii cancellarsi, ed ebbi un brivido
di vita e di morte.
Io portai la visione di un’acqua dilatata,
e sul bordo del mare
vidi, tanto confuso, l’estremo limite della terra
che ebbi un brivido di vita e di morte.
E seppi che il principio e la mia fine
non marcano frontiere né statuano tempi;
e appresi la virtù della valle e dei limi,
e si riempì di spirito la mia argilla primordiale.
Dilatando la vista
guardai intorno alla sacrale immensità,
come l’uomo che sale nella notte
alla cima più alta.
E avrei voluto parlare …E il facile movimento
delle mie labbra contenni.
Come se al proferire una parola
potessi forse morire!
Asfaltite
Cuentan que las manzanas de Asfaltite,
ya en su oblación final, donar ceniza el corazón.
¡Oh fuerte,
y oh débil! Tu mano
lanza gerifaltes del anhelo,
rotura del tiempo y siembra trigales de ilusión;
y mientras van volando las aves a la hazaña;
y las colinas
las ciñen los arroyos del ávido sentido,
insaciado en las fiestas nupciales,
en el lecho de amor estás rendido.
Hay en la plenitud de la mañana
un inútil rebase. Bruma densa
vendrá a cubrir el farallón lontano,
y la noche en la luz, la noche inmensa
parece que se palpa con la mano.
¡Ah, cómo vuelca innúmero el instante,
la hora, que al nacer ya es fenicia;
y a miel del trigal y el labio amante
fue un sueño que se apaga y que se olvida!
Este dulzor de miel,
– esta inquietud, esta zozobra, este rencor-
¿no tiene de ceniza el corazón?
Asfaltide[4]
Dicono che le mele d’Asfaltide,
nelle loro oblazione finale, danno cenere al cuore.
Oh, forte
e o debile! La tua mano
lancia girifalchi dell’anelito,
strappo del tempo, e sembra orto d’illusione;
e intanto vanno a volare gli uccelli nell’impresa;
e le colline
cingono i ruscelli dell’avido senso,
insaziato nelle feste nuziali,
nel letto d’amore, resti devoto.
C’è nella plenitudine della mattina
un inutile trapassare. Densa la bruma
verrà a coprire il lontano faraglione,
e la notte nella luce, la notte immensa,
sembra che si palpi con la mano,
Ah, come si rivolta innumere l’istante,
l’ora che al nascere è già fenicia,
e il miele dell’orto e il labbro amante
fu un sogno che s’estingue e si dimentica!
Questo dolciore di miele,
– quest’inquietudine, quest’ansia, questo rancore –
non ha di cenere il cuore?
Virtud interior
Llego aquí como ayer, sencillamente,
y en medio de los campos
abandono mi cuerpo
sobre la hierba frágil.
Ni voces que interrumpan la secreta
comunión de la vida,
ni libros imponentes
ni exceso de palabras.
Dulce cielo otoñal sobre los valles,
el agua limpia, el césped, la inefable
sencillez de las cosas,
y yo, sin ligaduras,
buscando el rumbo cierto
a la sombra de Dios que me sustenta.
Y la emoción que me darán los hálitos
del bosque, santamente,
y el éxtasis divino del silencio
debajo de los árboles …
La noche azul me cubre,
mi frente se circunda
de lirios y de estrellas
y nace mi bondad y va fluyendo.
Y en la inquietud absorto,
sobre la hierba trémula,
mi corazón humilde
ama todas las cosas.
Y siento hervir mi sangre
y quiero derramarla,
y esta virtud cruenta
me va purificando …
Virtù interiore
Arrivo qui come ieri, semplicemente,
ed in mezzo ai campi
abbandono il mio corpo sulla fragile erba.
Né voci che interrompano la segreta
comunione della vita,
né libri imponenti
né eccesso di parole.
Cielo dolce, autunnale sulle valli,
l’acqua limpida, il prato, l’ineffabile
semplicità delle cose,
ed io, senza legature,
cercando la rotta sicura
all’ombra di Dio che mi sostenta.
E l’emozione che mi daranno gli aliti
del bosco, santamente,
e l’estasi divina del silenzio
sotto gli alberi …
La notte azzurra mi copre,
la mia fronte si circonda
di gigli e di stelle
e nasce la mia bontà e continua a fluire.
E nell’inquietudine assorto,
sull’erba tremula,
il mio umile cuore
ama tutte le cose.
E sento fremere il mio sangue
e voglio spargerlo,
e questa virtù cruenta
mi va purificando…
[1] Tratto da Malinconico oscuro di Aa. Vv. – traduzioni di Emilio Capaccio [Poesia] anno 2014, p. 34
[2] Tratto da Malinconico oscuro di Aa. Vv. – traduzioni di Emilio Capaccio [Poesia] anno 2014, p. 36
[3] Tratto da Malinconico oscuro di Aa. Vv. – traduzioni di Emilio Capaccio [Poesia] anno 2014, p. 38
[4] Asfaltide era il nome con il quale veniva chiamato anticamente il Mar Morto, su cui si affacciava la biblica città di Sodoma. Il poeta fa riferimento alla narrazione delle “mele di Sodoma” – uniche piante sopravvissute dopo la distruzione della città, i cui frutti, apparentemente appetitosi, una volta aperti contenevano solo fuoco e fumo – per porre in essere la metafora con le seducenti promesse del sentimento amoroso che si rivelano vane e dolenti.
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